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Crisi Ilva, Zingaretti apre sull’immunità penale per Mittal. Ma no norme ad hoc

05 Novembre 2019 - 23:33 Redazione
Si studia a una norma che preveda l'immunità penale per tutte quelle aziende che si stanno cimentando in bonifiche industriali

In queste ore il Pd sta lavorando a un emendamento in merito al caso ex Ilva (la multinazionale ArcelorMittal ha deciso di lasciare l’impianto siderurgico di Taranto). Una norma che, di fatto, preveda l’immunità penale per tutte quelle aziende che si stanno cimentando in bonifiche industriali. Dunque, una norma generale e non ad hoc per ArcelorMittal.

«Sulla vicenda ex Ilva il governo deve dare immediatamente seguito agli impegni richiesti dal Pd con il voto in Parlamento su un ordine del giorno che chiedeva di garantire in tempi rapidi e con ogni mezzo, anche legislativo, la permanenza dell’attività produttiva siderurgica a Taranto e la completa realizzazione del piano di risanamento ambientale» ha detto il segretario del Pd.

«Il costo dell’incertezza sulle politiche industriali non si può scaricare, ancora una volta, sui lavoratori e non può pregiudicare la riconversione industriale e la tutela sanitaria e ambientale di una comunità. Allo stesso tempo ArcelorMittal non trovi alibi a proposito di un piano industriale e di un piano ambientale che deve rispettare, rilanciando il sito e realizzando gli interventi di bonifica promessi. Chi inquina paga ma chi deve attuare un piano ambientale non può rispondere penalmente su responsabilità pregresse e non sue. Proporremo iniziative parlamentari in questo senso».

I dem, adesso, sperano di poter inserire l’emendamento nel dl fiscale ma resta il nodo dell’ammissibilità.

Intanto ArcelorMittal ha depositato presso il Tribunale civile di Milano l’atto di citazione nei confronti di «Ilva in amministrazione straordinaria», come riporta il Corriere di Taranto. L’atto ricalca, nelle motivazioni addotte per il recesso dal contratto di affitto delle acciaierie pugliesi, quanto già scritto nella lettera sottoscritta dall’amministratore delegato, Lucia Morselli e resa nota ieri.

L’azienda chiede con l’atto consegnato ai giudici milanesi di «accertare e dichiarare l’efficacia del diritto di recesso» nonché, in subordine, di «accertare e dichiarare che il contratto di affitto può essere risolto per
impossibilità sopravvenuta» o ancora in ipotesi ulteriormente subordinata la risoluzione «perché è venuto meno un presupposto essenziale». Ancora, Mittal e la sua controllante chiedono «in via di estremo subordine» la risoluzione anche qualora il contratto sia dichiarato parzialmente eseguibile in quanto le parti non hanno «alcun interesse apprezzabile all’adempimento parziale».

Se tutte le motivazioni presentate non fossero ritenute esaustive, i legali intendono fare riferimento alla richiesta di rescissione per dolo, in quanto in sede sarebbero state omesse alcune circostanze fondamentali in riferimento in particolare alle condizioni dell’altoforno 2. E infine, anche qualora fossero ripristinate le tutele legali «non sarebbe possibile eseguire il contratto in quanto c’è la possibilità che, per un provvedimento dell’autorità giudiziaria di Taranto venga di nuovo spento l’altoforno 2 e in tal caso dovrebbero essere spenti anche gli altiforni 1 e 4 in quanto per motivi precauzionali sarebbero loro egualmente applicabili le prescrizioni del tribunale sull’automazione degli altiforni».

Il governo giallo-rosso ha registrato anche un altro momento di debolezza. Il motivo? Si vuole rivedere una norma contenuta nella manovra relativa alle tasse sulle auto aziendali. L’obiettivo, adesso, in vista del passaggio parlamentare della legge di bilancio, è quello di tagliare l’incremento previsto dalla manovra del 50% o addirittura di azzerare i rincari sulle auto aziendali. Lo riferiscono fonti qualificate dell’esecutivo.

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