Ilva, Conte rassicura dopo lo strappo di ArcelorMittal: perché lo scudo penale non può essere un alibi per l’azienda
«Pretendiamo chiarezza dalla proprietà e rispetto degli impegni contrattuali. Saremo inflessibili». Il premier Giuseppe Conte, intervenendo a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Milano, cerca di rassicurare sulle sorti dell’Ilva dopo l’annuncio di recessione del contratto da parte del gruppo franco-indiano Arcelor-Mittal e quindi il ritiro dalla gestione dell’acciaieria.
Lo scudo penale
L’incontro con la proprietà è prevista per mercoledì 6 novembre, come ha confermato Conte. Dalle dichiarazioni perentorie del premier – che ha invocato la necessità di rispettare i termini del bando: «Si viene in Italia si vince una gara e si rispettano i termini già previsto dal bando. Ci preme che che sia garantita la continuità e il livello occupazionale» – si evince che il governo sia piuttosto fiducioso di poter ottenere se non un dietrofront quantomeno un compromesso con la proprietà.
Per Conte infatti non ci sarebbero i presupposti per una rescissione in base allo scudo penale – abolito dall’esecutivo – che essenzialmente garantirebbe alla proprietà un’immunità per eventuali reati ambientali nel momento nel momento in cui l’azione dell’azienda è conforme alla legge e al piano ambientale. Questo perché, secondo Conte, «Non si può cambiare una strategia industriale adducendo a giustificazione lo scudo o non scudo penale, che peraltro non è previsto contrattualmente».
Eppure il contratto prevede che, nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l’attuazione del piano industriale, la Società abbia il diritto contrattuale di recedere dallo stesso contratto. Da verificare dunque se il nuovo provvedimento, che elimina la protezione legale, renda davvero impossible la gestione dell’acciaieria alla società, dando loro il diritto di risolvere il contratto.
Bocciato Renzi
Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un cambio di proprietà evocata da Matteo Renzi, che sarebbe in contatto con il colosso indiano Jindal per una nuova cordata per rilevare l’Ilva, Conte la esclude nettamente: «I nostri interlocutori sono quelli che ci sono adesso e devono rispettare gli impegni contrattuali», dicendo però che il Governo italiano è disposto a fare «di tutto, qualsiasi misura, per difendere questi investimenti produttivi e questa comunità di persone che lavorano anche nell’indotto».
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