Le minacce a Liliana Segre sono gravi come quelle a Salvini, ma molto diverse
Ha perfettamente ragione Matteo Salvini quando dice (lo ha fatto stamattina) che le minacce a Liliana Segre sono gravissime, come quelle che lui stesso riceve quotidianamente, e come quelle rivolte a chiunque altro. Un atto di ostilità è sempre da condannare allo stesso modo.
Ma Salvini è il primo a sapere anche quale è invece l’enorme differenza: lui è un leader politico dichiaratamente divisivo, che fa dell’attivismo social una sua cifra distintiva, e aggressiva verso gli obiettivi che sceglie. Indica ai suoi follower cattive pratiche, comportamenti delinquenziali o censurabili di singoli o di gruppi di appartenenti a etnie o culture diverse da quella di riferimento, italiana e cristiana.
Inoltre martella gli avversari politici con diversi piani critici, dal sarcasmo alla sferzata dura. È inevitabile che tutto questo generi reazioni specularmente ostili, anche se ovviamente non giustifica in nulla, neanche per un istante, qualsiasi tipo di minaccia.
Liliana Segre non è presente sui social, non ha appartenenza né avversari politici, è una donna che nei tre quarti di secolo passati dal ritorno da Auschwitz è sempre restata lontana dai riflettori e dalla scena pubblica. I suoi nemici erano dentro quel campo di sterminio, ed erano i nazisti che la catturarono dodicenne e la deportatono col padre, ucciso il giorno stesso dell’arrivo a Auschwitz.
La differenza è questa: che per odiare o minacciare Liliana Segre bisogna essere neonazisti o antisemiti, e cercare lei come simbolo da colpire, per il solo fatto che è ancora viva, testimone di quello che accadde, a lei e a tutte le vittime della Shoah, uccisi per il solo fatto di essere venuti al mondo ebrei.
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