I lavori “che non aspetti”: il tarallo che sognava di conquistare il mondo – Il video
Da un piccolo locale nel cuore di Molfetta, in provincia di Bari, alle vetrine delle grandi metropoli europee e mondiali: il sogno di Enzo Gallo, 63enne proprietario di una gastronomia e di un laboratorio che produce taralli, è stato raccolto da sua figlia Monica. Finite le scuole superiori, a 19 anni, ha scelto di non frequentare l’università e impiegare le sue conoscenze nel marketing per far conoscere nel mondo un cibo antico della tradizione pugliese.
Monica, la tua è una strada atipica rispetto alla maggior parte dei tuoi coetanei che, oggi, scelgono percorsi di formazione universitaria sempre più specializzanti. Perché sei andata controcorrente?
«Avevo appena conseguito il diploma di maturità, avevo 19 anni. Mi ha sempre affascinato l’ambiente universitario. Ma sapevo che, nel mio caso, avrei voluto apprendere quello che c’era da sapere sul campo, sporcandomi le mani. Oltretutto ho osservato i miei coetanei: dopo anni di studio e sacrifici sono dovuti andare al Nord o all’estero, perché al Sud le loro lauree, spesso, sono considerate carta straccia. Li rispetto, ci vuole tanto coraggio per andarsene dalla propria terra, ma io voglio restare, sperando che qualcosa prima o poi cambi».
Quali sono i tuoi obiettivi? Qual è l’apporto che vuoi e puoi dare rispetto alle competenze di tuo padre e dei dipendenti del tarallificio?
«Ho avuto la fortuna di nascere e crescere nell’ambito alimentare. I miei genitori hanno una gastronomia da circa 35 anni. Negli anni li ho osservati, ho appreso. Mio padre rappresenta la tradizione, l’esperienza, io invece conosco i giovani, il presente. Penso che questo sia il connubio perfetto, che rappresenta esattamente il mio prodotto. Insomma la tradizione che si fa strada grazie ai nuovi strumenti a nostra disposizione».
Ti senti più imprenditrice o artigiana?
«Le due cose devono coesistere. Anche se il termine “imprenditrice” associato a me, mi ha sempre fatto un po’ ridere. Ho sempre visto quello dell’imprenditore come un ruolo freddo, che fa il bene dell’azienda ma con sano distacco emotivo. L’artigiano invece è l’anima del suo prodotto, sa mettere cuore e dedizione in ciò che fa. Quindi, anche se rappresento un po’ entrambi, mi impegnerò affinché riesca a preservare il cuore di un artigiano».
Quali sono i tuoi progetti futuri?
«Voglio continuare a crescere. Sono una persona ambiziosa e vorrei far parte di quella cerchia che si batte per far conoscere e apprezzare il Made in Italy nel mondo».
Un consiglio per i tuoi coetanei che non hanno mai considerato di portare avanti un lavoro legato alla tradizione.
«Intraprendere una strada simile alla mia fa paura. Non avevo risorse, ero acerba ed ho iniziato da zero. Tante volte mi son detta “ma perché lo fai? Fai come fan tutti”. Ma adesso, a distanza di sei anni, guardo indietro e non posso far altro che sorridere. Ci ho provato, ci sono stati tempi bui e sicuramente ce ne saranno altri, ma se hai un idea, un progetto, devi crederci, provarci. Se andasse male? Va bene, ti sarà di insegnamento e saprai fare meglio la prossima volta. Viviamo in una terra straordinaria, abbiamo l’oro tra le mani e se non saremo noi a valorizzarlo, non lo farà nessuno per noi».
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