Il muro di Berlino trent’anni dopo
Nonostante nel mondo si continuino a costruire muri, ciò che resta di quello di Berlino è ancora universalmente riconosciuto come simbolo di coesione e libertà. Ma non è sempre stato così
A trent’anni dalla sua caduta, il mondo ha ancora fame del Muro di Berlino e del suo sogno, nonostante nel mondo si continuino a costruire muri (dal 1961 le barriere fisiche nel pianeta si sono più che triplicate passando da 15 a 70). Lo dimostra la sua popolarità con i turisti – l’Eastside gallery, una delle parti del muro più famose, viene visitata da circa 3 milioni di persone ogni anno – come dimostra anche la settimana di festività organizzata per il 30esimo anniversario della “Rivoluzione Pacifica”. Si tratta di una fame globale. Basta seguire la tratta dei pezzi del muro, più di quattrocento spediti fuori dalla Germania stessa, in ogni angolo del mondo, dalla California al confine tra la Corea del Nord comunista e la Corea del Sud alleata degli Stati Uniti, il più militarizzato al mondo. Piccole missive di solidarietà, di pace e di fratellanza.
All’inizio non era così: non tutti a Berlino volevano conservare il muro, simbolo dell’oppressione della Repubblica Democratica Tedesca, un muro costruito non per contenere l’immigrazione ma per bloccare l’emigrazione di chi voleva fuggire verso i quartieri più ricchi della città. Verso Ovest. Piano piano invece le rovine del muro sono state inglobate nella città, nelle sue strade, nei suoi parchi. Alcuni pezzi sono stati usati anche per costruire le case. Altri invece rimangono intatti, nascosti negli angoli più diversi di Berlino. Come nella periferia di Schönholz (Berlino nord), dove circa 80 metri di muro sono stati scoperti dallo storico Christian Bormann (37 anni), che ha tenuto nascosta la sua scoperta per ben 20 anni per poi rivelarlo a gennaio di quest’anno.
All’entusiasmo degli anni ‘90 – come ricorda una delle mostre allestite a Berlino durante la settimana di celebrazioni per la ricorrenza – è subentrata sia una maggiore consapevolezza della “vite degli altri”, come recita il titolo del celebre film del 2006 sulla sorvegliatissima quotidianità a Berlino Est, ma anche la nostalgia, la curiosità per un passato considerato remoto, in rovine appunto.
I fatti: dalla divisione di Berlino alla caduta del Muro
1945 – 1952
La divisione di Berlino
La divisione di Berlino viene stabilita dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel corso della conferenza di Jalta: la città viene divisa in quattro settori amministrati da Francia, Regno Unito, USA e URSS. L’area più estesa è quella sovietica, mentre negli anni seguenti i tre settori controllati dagli stati occidentali diventano di fatto una parte della Germania Ovest, circondata dai territori della DDR (la Repubblica Democratica Tedesca, cioè la Germania Est). Man mano che le tensioni tra Occidente e Unione Sovietica aumentano, le possibilità per i berlinesi di passare da Ovest a Est e viceversa diminuiscono fino a quasi annullarsi nel 1952.
1958
L’ultimatum di sei mesi
Nel 1958 la dirigenza sovietica invia una nota formale alle altre potenze occupanti proponendo la rinuncia dei diritti sulla città di Berlino, con la promessa di trasformarla in una “città smilitarizzata”. In mancanza di consenso da parte delle potenze occidentali entro sei mesi, nella nota si parla espressamente di azioni unilaterali sovietiche con la conclusione di un trattato di pace formale tra Unione Sovietica e DDR e passaggio dei diritti sovietici alla Germania Democratica – che avrebbe quindi assunto il pieno controllo dei suoi confini e dell’area berlinese.
1959
Il rifiuto di Eisenhower e la visita di Kruscev negli USA
Per il presidente USA Dwight Eisenhower e per gli altri dirigenti delle potenze occidentali è però impossibile dare il proprio consenso alle stringenti pretese sovietiche. Ragioni di prestigio e di propaganda rendono essenziale dimostrare la determinazione dell’occidente ad opporsi alla minaccia sovietica. Eisenhower quindi rifiuta le proposte di Nikita Kruscev, ma lo invita negli Stati Uniti per una visita ufficiale durante la quale spera di superare la rigidità del capo dell’altra superpotenza. La visita di Kruscev nel settembre 1959 sembra effettivamente aprire prospettive più favorevoli al dialogo dei due blocchi su molti argomenti di tensione, tra cui la situazione di Berlino. Il presidente americano dice di condividere la necessità di stabilizzare con accordi definitivi la questione tedesca e il segretario generale sovietico, colpito positivamente dalla personalità di Eisenhower, decide di rinunciare all’ultimatum di sei mesi per l’accettazione della nota sovietica e di accontentarsi della convocazione di un incontro tra le quattro grandi potenze a Parigi per dirimere la questione.
1960
La crisi diplomatica e la cancellazione dell’incontro di Parigi
L’abbattimento di un aereo da ricognizione statunitense sopra i cieli dell’Unione Sovietica dà però inizio a una grave crisi nelle relazioni tra le superpotenze, vanificando ogni prospettiva di accordi globali sul disarmo e sulla questione di Berlino. Kruscev reagisce duramente alla missione di spionaggio americana, sfruttando propagandisticamente l’abbattimento e la cattura del pilota e rompendo temporaneamente i rapporti con Eisenhower, che aveva ostentatamente rifiutato di scusarsi per l’incidente. L’incontro di Parigi tra le quattro grandi potenze viene quindi annullato e la situazione della Germania e di Berlino rimane irrisolta e ancora più instabile.
1961
La costruzione del Muro e il confronto diretto al Checkpoint Charlie
«Nessuno ha intenzione di costruire un muro», dice il 15 giugno del 1961 l’allora presidente della Germania Est, Walter Ulbricht. Nelle prime ore del 13 agosto, però, si inizia a posare il filo spinato che avrebbe preceduto la costruzione del muro. I punti di passaggio fra la zona Est, che appartiene alla DDR, e la parte ovest di Berlino, sotto il controllo della Germania Ovest schierata con l’Occidente, sono una decina. Il più famoso è il cosiddetto Checkpoint Charlie, l’unico aperto per stranieri e diplomatici occidentali, che nel 1961 è al centro di una delle principali crisi diplomatiche fra USA e URSS. La tensione, salita improvvisamente dopo che alcuni diplomatici e funzionari degli Stati Uniti pretesero di muoversi a Berlino Est senza mostrare documenti, sfocia in sedici ore di terrore durante le quali carri armati statunitensi e sovietici si schierarono – per la prima e unica volta durante la Guerra Fredda – da una parte e dall’altra di Berlino, rischiando di provocare un nuovo conflitto mondiale.
1962
La crisi dei missili di Cuba
Il 14 ottobre del 1962 un aereo spia americano fotografa le prove che l’URSS sta costruendo a Cuba delle basi per lanciare missili nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti. Comincia così la più grave crisi dall’inizio della guerra fredda: per tredici giorni URSS e USA si fronteggiano, arrivando più volte vicini alla guerra. La crisi termina il 28 ottobre quando l’Unione Sovietica accetta pubblicamente di smantellare le basi a Cuba e gli USA accettano, in segreto, di smantellare i loro missili nucleari in Italia e Turchia. Nei 13 giorni della «crisi dei missili di Cuba», il mondo si trova per la prima volta da quando è iniziata la Guerra Fredda sull’orlo di un nuovo conflitto mondiale (e nucleare). In ottobre c’è un’accelerazione nella posa di rampe e nella costruzione e attivazione dei missili, e Kennedy deve decidere una contromossa diplomatica. Decide quindi di informare il Paese della situazione: senza che nessun alleato sia a conoscenza della natura del discorso, il 22 ottobre il presidente dice in televisione che il suo governo è a conoscenza di quello che sta succedendo a Cuba e che, in caso di attacco diretto da parte dei cubani contro l’America, la guerra si verrò estesa all’Unione Sovietica, ritenuta direttamente responsabile.
1963
Il discorso di Kennedy nella Berlino Ovest: “Ich bin ein Berliner”
Il presidente americano Kennedy, in visita ufficiale a Berlino Ovest, manifesta il supporto degli Stati Uniti ai berlinesi durante un famoso discorso in cui pronuncia la frase in tedesco “Ich bin ein Berliner” (Io sono un berlinese).
1987
Il discorso di Reagan: “Mr. Gorbaciov, tear down this wall!“
Il 12 giugno 1987 il presidente statunitense Ronald Reagan tiene a Berlino, davanti alla Porta di Brandeburgo, un altro discorso entrato nella storia. Circa 24 anni dopo il celebre “Ich bin ein Berliner” di Kennedy, rivolgendosi all’allora segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, Michail Gorbaciov, Reagan pronuncia una frase poi passata alla storia: “Mr. Gorbaciov, tear down this wall!“ (“Gorbaciov, butti giù questo muro!”).
1989
La caduta del Muro
Sono ormai cambiate molte cose rispetto al 1961: Erich Honecker, leader del partito comunista della Germania est, si è dimesso, e l’intero blocco sovietico vacilla – crollerà definitivamente nel 1991. Dopo una serie di proteste spontanee dei cittadini di Berlino, il governo della DDR fa un annuncio improvviso: si può di nuovo viaggiare liberamente verso la Germania ovest. È così che il 9 novembre del 1989 i berlinesi accorrono armati di piccone per demolire una volta per tutte il muro, il cui crollo viene universalmente interpretato come un segno del fatto che la divisione in due blocchi dell’Europa sta definitivamente volgendo al termine.
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