Cucchi bis, ultima udienza per i carabinieri del pestaggio. La difesa di Di Bernardo: «Questo processo è una caccia alle streghe» – Il video
Alessio Di Bernardo «non è qui. Avrebbe voluto, fino all’ultimo ha provato a venire. Ma ha un tumore da un anno e mezzo ed è gravemente malato». Esordisce così per la sua arringa finale l’avvocata Antonella De Benedictis, legale di Di Bernardo, imputato nel processo Cucchi bis per la morte del geometra romano.
«La morte di Stefano Cucchi è stata ingiusta e mando un pensiero alla famiglia Cucchi. Ma questo processo è una caccia alle streghe». Si tratta dell’ultima udienza nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, con le arringhe delle difese, prima della sentenza prevista per giovedì 14 novembre.
Il compito del collegio, dice la legale, «non è quello di essere giustizialista, ma di accertare la verità processuale. Contano solo i fatti acquisiti e provati all’interno del processo. So che le telecamere sono puntate da mesi. Ma loro non sono i giudici. Conta solo quello che in quest’aula si è raggiunto in termini di prova. Avete il potere di decidere della vita del mio assistito. E dovete avere questa certezza oltre ogni ragionevole dubbio. Non si puó partire con la verità in tasca».
Secondo la difesa di Di Bernardo «ci troviamo di fronte a prove indiziarie. Le testimonianze cui il pm fa riferimento sono forti? Non sono ambigue? Sono fatti esistenti o solo verosimili? Gli elementi indiziari di questo processo sono privi di concordanza», dice. Stefano Cucchi «aveva segni sulla schiena, raccontano i testimoni?», dice. «Ma potevano saperlo dalle notizie uscite dopo su tutti i giornali».
«Pestaggio? Al massimo uno schiaffo»
L’attenzione dell’avvocata si sposta in particolare sulla valutazione di attendibilità di Francesco Tedesco, l’imputato-accusatore che con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul pestaggio ai danni di Stefano Cucchi. «Quello che lui dice non è oggettivo», dice De Benedictis. «E quello che non è oggettivo non può entrare in un processo. La relazione sparita non c’è. Lui fornisce tre ricostruzioni del pestaggio diverse. Tutta la dichiarazione di Tedesco è semplicemente una personale ricostruzione fatta a posteriori sulla base di riscontri che lui conosceva benissimo perché conosceva le carte processuali».
Sul pestaggio «sono anni che viene detto che questo pestaggio è stato il ‘pestaggio della storia’. Ma cos’è oggettivo e provato? Il pestaggio nella migliore delle ipotesi per il mio assistito è consistito in uno schiaffo, nella peggiore delle ipotesi di uno schiaffo e una spinta. Ma non fu un pestaggio violentissimo, gravissimo, abnorme, reiterato; e questo è scritto anche nella perizia, nella quale si parla di schiaffi e una caduta, forse una spinta, forse un calcio. Null’altro dicono i medici; questo è quanto accaduto. Poi c’è il calcio sul volto che non è stato oggetto di autopsia. È un argomento scenografico suggestivo che non può essere oggetto di questo processo».
Nè ci sarebbe il nesso di casualità con la morte: «Stefano Cucchi non è morto per le lesioni, ma perché un paramedico si è dimenticato di controllare il catetere», dice l’avvocata. «La lesione iniziale non è di per sé mortale. In questo caso non ci troviamo nel campo medico, ma di fronte a un grossolano errore materiale da parte di un paramedico. Ed è la Cassazione che ci dice che in casi come questi l’errore medico deve essere messo in conto». Quindi la richiesta «assoluzione di Di Bernardo con formula ampia, o eventuale derubricazione in lesioni personali dell’imputazione di omicidio preterintenzionale».
«La richiesta di pena di 18 anni del pm è abnorme», dice Maria Lampitella, avvocata dell’altro carabiniere accusato di omicidio preterintenzionale, Raffaele D’Alessandro. «E ve l’ha fatta passare come una richiesta giusta: non è così. È abnorme e ingiusta». Chiede, negando qualsiasi pestaggio («D’Alessandro non ha toccato Cucchi con un dito»), anche lei l’assoluzione per il suo assistito o, «in seconda istanza e solo per scrupolo di difesa, la derubricazione del reato».
Il processo sui depistaggi
Nel frattempo da piazzale Clodio, dove era prevista la prima udienza del processo a carico degli otto carabinieri accusati dalla procura di aver “depistato” l’inchiesta sul pestaggio in caserma di Stefano Cucchi. L’udienza, prevista questa mattina al tribunale monocratico, è stata rinviata perché il giudice monocratico Federico Bona Galvagno si è astenuto in quanto ex carabiniere ora in congedo. La richiesta di astensione era stata presentata dal legale della famiglia Cucchi Fabio Anselmo e dalle altre parti civili. La prossima udienza è stata fissata per il 16 dicembre. Al posto di Bona Galvagno subentrerà Giulia Cavallone: si tratta della figlia del sostituto procuratore generale della Corte di Appello di Roma, Roberto Cavallone, ex pm capitolino.
La famiglia
«Attendo il 14 novembre. Io ed i miei genitori siamo allo stremo delle forze», scrive Ilaria Cucchi in un lungo post su Facebook in mattinata. Insieme ai genitori, Rita e Gianni, è in aula a Rebibbia. «Mamma e papà sanno già di essere condannati all’ergastolo di processi che si protrarranno fino alla fine della loro vita. Comunque, grazie al lavoro dei pm Pignatone e Musarò, la verità è venuta a galla anche in un aula di giustizia ma c’è sempre qualcuno pronto a metter i bastoni tra le ruote di una Giustizia sempre più difficile da comprendere e spesso troppo lontana dai cittadini comuni in nome dei quali dovrebbe operare», scrive la sorella di Stefano.
«Non posso non pensare al braccio di ferro tra la Corte d’Assise di Appello e la Suprema corte di Cassazione sulla responsabilità dei medici per la sua morte. La prima assolve e riassolve. La seconda annulla e riannulla quelle assoluzioni. Un rimpallo di 4 sentenze». Si tratta «di un processo drammaticamente sbagliato. Anche questo processo andrà a sentenza il 14 novembre insieme a quello ben più importante in corso contro i veri responsabili della morte di Stefano. I reati contro i medici sono tutti prescritti», ricorda Ilaria Cucchi. «Ma si va avanti lo stesso contro di loro. Perché? Perché penso che verranno ancora una volta assolti nonostante le loro evidenti responsabilità. Nonostante la durissima ultima sentenza della Suprema Corte. È solo un mio pensiero. Non si dichiarerà la prescrizione e questo sperano i difensori di D’Alessandro e Di Bernardo. Attendo il 14 novembre».
In copertina l’aula bunker di Rebibbia durante l’ultima udienza del processo Cucchi bis, Roma, 12 novembre 2019. OPEN
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