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Nazionalizzare l’ex Ilva: ipotesi che divide governo e sindacati. Ma è davvero possibile?

12 Novembre 2019 - 06:09 Fabio Giuffrida
C'è chi parla di «follia totale», chi di «pericolosa illusione». Ma c'è anche una parte del governo che inizia a valutare l'ipotesi di un intervento diretto dello Stato per salvare l'ex Ilva

ArcelorMittal si tira indietro, il governo cerca di trovare una soluzione ma Conte ammette che al momento non ha una soluzione in tasca per l’ex Ilva di Taranto. Mettere d’accordo tutti non è facile e così salta fuori l’ipotesi di nazionalizzazione: un intervento dello Stato italiano che divide politica e sindacati.

Cosa ne pensano i sindacati

Se la Cgil si dice favorevole, la Cisl esclude categoricamente questa possibilità: «E’ una follia totale, ce lo insegna la storia dell’Ilva. Un disastro che ci è costato 3,6 miliardi di euro, che ha causato l’aumento di infortuni sul lavoro e il blocco del piano ambientale. Non abbiamo alcuna nostalgia del passato», spiega Marco Bentivogli, segretario generale della Federazione italiana metalmeccanici (Fim Cisl), a Open. L’unica soluzione sarebbe quella di far rispettare gli impegni assunti da ArcelorMittal e dunque di «responsabilizzare» gli imprenditori.

Di posizione opposta Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom-Cgil, secondo cui, qualora non si riuscisse a trovare un’altra soluzione, l’unica via d’uscita sarebbe quella di un intervento diretto dello Stato: «Non escluderei una partecipazione dello Stato italiano in uno schema di partnership industriale che può trasformarsi persino in un elemento di garanzia per i lavoratori e per Taranto. Da una parte la sostenibilità ambientale, dall’altra il diritto costituzionalmente garantito del lavoro» ha detto a Open. Un cambio di passo: dal lavoro o salute, al lavoro e salute. «La presenza dello Stato, in altre parti d’Europa c’è già, penso alla Francia o alla Germania» ha aggiunto.

Che c’entra Cdp?

La Cgil ipotizza dunque non una vera nazionalizzazione ma una sorta di intervento “misto”: Cassa depositi e prestiti, spa controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, per statuto non può partecipare a nazionalizzazioni. Potrebbe intervenire nel salvataggio, ma dovrebbe farlo con un socio privato.

Restano alcuni dubbi: anzitutto cosa ne pensano i vertici di Cassa depositi e prestiti e soprattutto quale potrebbe essere la reazione dell’Unione europea dinanzi agli aiuti di Stato? E ancora, chi dovrebbe gestire l’intera operazione? Una cordata di imprenditori con una cabina di regia governativa?

Frena il ministro dell’Economia

A spegnere gli entusiasmi, intanto, ci pensa il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri secondo cui tutti i costi di un risanamento industriale addossati allo Stato sarebbero «una pericolosa illusione»: «L’idea che nelle crisi industriali c’è una soluzione magica con lo Stato che compra è una pericolosa illusione, eviterei una discussione bianco e nero».

Per il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia «nel nazionalizzare il problema è chi paga. Questo Governo dovrebbe cominciare a pensare a chi paga e quali sono gli effetti sull’economia reale di alcune scelte». Per il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, nazionalizzare non è più un tabù; per il presidente della Camera Roberto Fico «ci sono tante soluzioni che possono essere trovate, compresa la nazionalizzazione».

Infine, per il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, «se il mercato fallisce non è uno scandalo ma semplicemente giusto che se ne occupi lo Stato». Da ArcelorMittal – contattata da Open – fanno sapere che al momento non ci sono novità e che la situazione resta invariata.

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