Caso Cucchi, i carabinieri sono colpevoli: condannati a 12 anni
Dopo più di 8 ore di camera di consiglio, la sentenza di primo grado sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni morto nel 2009 sei giorni dopo l’arresto, è arrivata e riconosce l’accusa di omicidio preterintenzionale nei confronti dei carabinieri che l’avrebbero picchiato dopo il fermo.
Questa la decisione sugli otto carabinieri imputati:
Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro condannati a 12 anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
Francesco Tedesco 2 anni e 6 mesi;
Roberto Mandolini 3 anni e 8 mesi, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici anche se, assieme a Vincenzo Nicolardi, è stato assolto, per prescrizione, dal reato di calunnia.
Il pubblico ministero Giovanni Musarò aveva chiesto di condannare a 18 anni di carcere Di Bernardo e D’Alessandro, i due carabinieri che avrebbero picchiato Cucchi e rispondevano, dunque, dell’accusa di omicidio preterintenzionale. Cucchi, arrestato dai carabinieri il 15 ottobre del 2009 per droga, è poi deceduto una settimana più tardi all’ospedale Sandro Pertini di Roma.
Per il terzo militare dell’Arma, Francesco Tedesco, era stata chiesta l’assoluzione ‘per non aver commesso il fatto’ dall’accusa relativa al pestaggio: imputato come gli altri due di omicidio preterintenzionale, è diventato testimone dell’accusa, raccontando di aver assistito al pestaggio intervenendo per bloccare i suoi due colleghi. «È finito un incubo». Sono le uniche parole che ha proferito Tedesco dopo la sentenza.
Per Tedesco, però, il pm aveva comunque chiesto la condanna a 3 anni e mezzo per falso. Per la stessa accusa sono stati chiesti 8 anni di reclusione per il maresciallo Roberto Mandolini, l’ufficiale a cui faceva riferimento la squadra che arrestò Cucchi e che li avrebbe aiutati a nascondere i fatti.
«Una sentenza ingiusta, ho sperato fino all’ultimo», dice Maria Lampitella, avvocata di Raffaele D’Alessandro. Il pestaggio «non c’è mai stato. Certo, Stefano aveva delle lesioni, ma non dipendevano da alcun pestaggio. E certo il mio assistito non ha nulla a che vedere con la sua morte. Faremo ricorso».
Per Tedesco, Mandolini e Nicolardi aveva poi chiesto il non doversi procedere, per prescrizione sopraggiunta, dell’accusa di calunnia.
«Abbiamo manifestato in più occasioni il nostro dolore e la nostra vicinanza alla famiglia per la vicenda culminata con la morte di Stefano Cucchi. Un dolore che oggi è ancora più intenso dopo la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Roma che definisce le responsabilità di alcuni carabinieri venuti meno al loro dovere, con ciò disattendendo i valori fondanti dell’Istituzione», ha detto il comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri, dopo la sentenza.
In copertina Ilaria Cucchi, a destra, sorella di Stefano, con l’avvocato Fabio Anselmo, sinistra, dopo la lettura della sentenza in Corte d’Assise nei confronti di 5 Carabinieri imputati nel processo Cucchi, Aula Bunker di Rebibbia, Roma, 14 novembre 2019. ANSA/Riccardo Antimiani
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