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ArcelorMittal: «Chiudiamo Taranto perché criminalizzati». L’insoddisfazione dei sindacati: «L’incontro è andato male»

15 Novembre 2019 - 19:30 Redazione
Botta e risposta indiretto ma durissimo tra ArcelorMittal e il governo italiano

Dopo il botta e risposta indiretto, ma durissimo tra ArcelorMittal e il governo italiano, i sindacati si dicono insoddisfatti dall’incontro al Mise con i vertici dell’azienda franco-indiana. «L’incontro non è andato bene», dicono i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil (Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo) e avvertono che «i lavoratori non si renderanno complici dello spegnimento dell’acciaieria».

I lavoratori non spegneranno gli impianti dello stabilimento ex Ilva, non celebreranno il loro funerale. Lo dice il segretario generale della Uilm, Rocco Paolmbella. E annuncia che «ci sarà un’insubordinazione verso la proprietà».

L’azienda è decisa ad andarsene

«Noi di ArcelorMittal riteniamo che non siano stati rispettati i termini del contratto»: così ha esordito l’amministratore delegato per l’Italia del gruppo franco-indiano, Lucia Morselli, al tavolo con i sindacati sull’ex Ilva.

E ha fatto capire che il nodo principale resta l’area a caldo: lavorarci «fino a qualche settimana non era un crimine ora lo è. Non è una cosa di poco conto». Poi le prescrizioni sull’altoforno 2, e l’ombra dello scudo penale tolto: «Ci era stato detto che tutto quello che era stato chiesto dalla magistrature come interventi di miglioramento era in corso, invece non era stato fatto niente».

«È stato rotto il concetto base del piano di risanamento dell’ex Ilva che diceva: ‘ci piacerebbe avere la bacchetta magica ma non l’abbiamo, allora bisogna andare al 2023, quando l’area a caldo sarà accettabile, nel frattempo creiamo le condizioni per arrivarci e una delle condizioni era dare la protezione a chi ci lavora». «A questo punto riteniamo che il contratto legalmente possa essere sciolto. Questo è quello che abbiamo chiesto e stiamo agendo in coerenza».

Conte: Mittal pagherà i danni


Negli stessi minuti il presidente del consiglio Conte ha annunciato su Facebook di aver depositato a nome del governo il ricorso d’urgenza a norma del codice di procedura penale (il cosiddetto “700”) al fine di fermare Lo spegnimento del centro siderurgico di Taranto.


«Il Governo non lascerà che si possa deliberatamente perseguire lo spegnimento degli altiforni, il che significherebbe la fine di qualsiasi prospettiva di rilancio di questo investimento produttivo e di salvaguardia dei livelli occupazionali e la definitiva compromissione del piano di risanamento ambientale», spiega Conte.

Che poi ammonisce la multinazionale franco-indiana: «ArcelorMittal si sta assumendo una grandissima responsabilità, in quanto tale decisione prefigura una chiara violazione degli impegni contrattuali e un grave danno all’economia nazionale. Di questo ne risponderà in sede giudiziaria sia per ciò che riguarda il risarcimento danni, sia per ciò che riguarda il procedimento d’urgenza. Ben venga anche l’iniziativa della Procura di Milano che ha deciso di intervenire in giudizio e di accendere un faro anche sui possibili risvolti penali della vicenda».

Se l’azienda, come ha annunciato, procedesse con lo spegnimento degli altoforni, ci vorrebbero almeno sei mesi poi per far ripartire l’impianto. Lo ha riferito il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dell’ex Ilva di Taranto, Vincenzo Vestita (Fiom Cgil). Inoltre lo spegnimento si tradurrebbe con «emissioni certe a causa di tutti i gas incombusti che non potranno essere recuperati dalla rete».

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