«Le carrozzine non volano»: lo sfogo virale di Giulia contro le compagnie aeree
«Sono davvero delusa, spero che questa volta mi vogliate davvero aiutare». L’account Instagram è quello di Giulia Lamarca, la story contenuta in una cartella in evidenza: Problems, accompagnata dall’icona di un aereo. Video che in questi giorni sono stati ricondivisi da molti utenti, influencer e non.
Giulia ha 28 anni, è di Torino ed è una psicologa. Otto anni fa, dopo un incidente in moto, è rimasta paralizzata dalla vita in giù: lussazione vertebrale con diagnosi di paraplegia incompleta. Una cartella clinica che Giulia, in un’intervista, ha spiegato così: «Non cammino e non camminerò mai più, ma per fortuna ho riacquistato la sensibilità di tutto il mio corpo».
In quelle story in evidenza, i Problems di cui parla non riguardano la sua condizione. Almeno non direttamente. Quei Problems riguardano le compagnie aeree. Quali? Tutte. In una sequenza di story Giulia racconta degli ostacoli che trova in ogni viaggio in cui deve prendere un aereo.
Ore passate in aeroporto e hostess che non sanno cosa fare
Mentre racconta tutto questo, Giulia è ancora in aeroporto. Si vedono tutti i momenti del viaggio. Il check-in, i minuti sui seggiolini dell’aereo e poi il riposo, dopo l’arrivo a destinazione. Un viaggio senza nomi di compagnie, senza aeroporti di partenza o d’arrivo. Perché, come racconta Giulia, è uguale a qualsiasi altro viaggio.
«Siamo in aeroporto e stiamo avendo i soliti problemi infiniti. Sto avendo di nuovo problemi con tutti per la carrozzina. Tra un po’ mi metto a piangere». Con lei c’è anche Andrea Decarlini, suo marito. «Non è possibile che io devo partire due mesi prima, fornire tutte le documentazioni mediche e venire qui essere esaminata di nuovo. Non faccio il nome della compagnia per cui voliamo perché succede con tutte, tranne forse con American Airlines».
I problemi nascono subito, appena arrivati ai controlli. Spiega Andrea: «Ogni volta sembra la prima volta che queste persone vedono una persona in carrozzina. Dicono di venire due ore prima, ma non sono per le procedure. Passiamo un’ora e quarantacinque minuti a litigare e quindici minuti per correre al gate». E qui interviene Giulia: «E se fossi anche muta?».
E poi in aereo. Giulia denuncia che il personale non è formato per assistere un passeggero disabile. Non sanno come fare per permettergli di sedersi, non sanno come fare assistenza durante il viaggio. Senza contare che gli aerei, da sempre ottimizzati per avere più posti possibili, non sono il posto più accessibile per i disabili: «Sono disposta a farlo diventare il mio lavoro. Chiamatemi per progettare gli aerei».
Il significato di un aereo, e la richiesta ai giornalisti
Il tono delle story è forte. Le parole utilizzate segnano il punto di rottura di chi subisce un’ingiustizia, di fronte a cui è impotente. Ma è nelle ultime che arrivano le frasi più sofferte, quando Giulia, scesa dall’aereo spiega cosa vuol dire per lei volare.
«Per me prendere un aereo mi ha fatto sempre sentire libera. È il mio momento di libertà. Non ho tanti momenti in cui non ho una carrozzina sotto il culo. E sentirmi deprivata di questa libertà mi fa stare proprio male».
Un appello che ricorda quello di Iacopo Melio, il ragazzo che Sergio Mattarella lo scorso anno ha premiato come cavaliere della Repubblica. Giulia ha chiesto anche ai giornalisti di scriverle e chiederle un’intervista accurata. Noi di Open lo abbiamo fatto. La aspettiamo.
Leggi anche:
- FIABA day a Palazzo Chigi. Conte: «Simulato consiglio dei ministri con persone con disabilità»
- Livorno, vergognoso volantino di un ristorante sui disabili: i dipendenti prendono le distanze
- «Rinascere», il libro di Manuel Bortuzzo: «Ho conosciuto l’abisso della disperazione, e ne sono uscito. Sulle mie gambe»