Migranti, dove vanno a finire i soldi del “Fondo Africa” dell’Italia impiegati in Libia? Il giallo sul milione di euro per il Rwanda
Dove vanno a finire i soldi stanziati dall’Italia e impiegati in Libia? Come vengono utilizzati?
Ora il governo italiano ha 30 giorni per rispondere: l’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, ha presentato all’esecutivo una richiesta per capire come è stato usato un milione di euro erogato dall’Italia all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati «per un’azione straordinaria di evacuazione verso il Rwanda di richiedenti asilo e rifugiati detenuti nei campi di detenzione in Libia».
L’attenzione dell’associazione verte tra l’altro sul fatto che «si tratta di un’operazione senza precedenti, in quanto coinvolge un paese, il Rwanda, diverso da quelli di origine, di transito e di destinazione», spiega l’Asgi in una nota. E data l’instabilità del contesto libico e l’estrema vulnerabilità delle persone interessate, l’associazione «intende verificare con attenzione, alla luce delle informazioni e dei documenti richiesti al governo, quali siano le attività svolte e soprattutto le garanzie per i diritti fondamentali dei beneficiari». Sapevano dove andavano? Conoscevano il meccanismo?
La richiesta è stata presentata nell’ambito dei progetti Sciabaca e Oruka, che si propongono di «contrastare gli effetti delle politiche nazionali, europee e internazionali che comprimono diritti fondamentali di cittadini/e extraeuropei/e quali la libertà di movimento il diritto di asilo».
Cos’è il Fondo per l’Africa
Il Fondo per l’Africa di cui quest’erogazione fa parte viene istituito con la legge di bilancio 2017. «Con una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro, aggiuntivi a quelli previsti per le attività ordinarie di cooperazione allo sviluppo», nasce con l’obiettivo di «avviare “interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani di importanza prioritaria per le rotte migratorie”», spiega Openpolis. Il decreto che ne definisce le linee di indirizzo aggiunge che sarà «parte qualificante del complesso di misure stabilite dal governo italiano volte al contrasto all’immigrazione irregolare e al traffico di esseri umani».
Dal 2017, attraverso questo fondo, l’Italia ha finanziato «una serie di misure volte a limitare i flussi migratori provenienti dalla Libia», spiega Asgi. E infatti, nota ancora Openpolis, gli interventi più controversi sono proprio quelli che si è scoperto essere a favore della guardia costiera libica. Laddove i centri di detenzione e l’operato della guardia costiera libicasono attualmente indagati dal Tribunale dell’Aia per violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità.
«Nel 2019 oltre 4.800 rifugiati e migranti – denuncia l’Aja – sono stati arrestati arbitrariamente in Libia. Molti sono vulnerabili a causa della loro vicinanza nelle aree di combattimento a Tripoli e dintorni», si legge su Avvenire.
Il FOIA
Negli ultimi anni l’Asgi ha più volte utilizzato la legge sull’accesso civico – il Freedom of Information Act, il FOIA – «per esercitare il proprio diritto in quanto società civile di promuovere la trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione, particolarmente in merito ad attività che riguardano la Libia». La stessa legge è stata frutto (anche) di una campagna della società civile – #FOIA4Italy – per aumentare la trasparenza dell’operato della Pubblica Amministrazione e la possibilità di monitoraggio da parte dei cittadini.
Ora ci sono 30 giorni di tempo per avere un riscontro. In caso di rigetto, la richiesta di riesame potrà essere presentata entro i successivi 30 giorni: e dopo 20 giorni il responsabile del riesame dovrà dare un riscontro. In caso di mancato riscontro da parte della PA si parla di «silenzio inadempimento».
#migranti in #Ruanda dalla #Libia con fondi italiani: @asgi_it chiede trasparenza https://t.co/KXl5IcBVA1 #diritti #governo
— @nelpaese.it (@nelpaeseit) 19 novembre 2019
Perché?
«Da mesi stiamo approfondendo la questione dei fondi governativi impiegati in Libia che possono provenire sia dal Fondo Africa che dallo European Trust Fund», spiega a Open l’avvocata Giulia Crescini di Asgi. Fondi che vengono impiegati nel paese «da parte dei soggetti più variegati»: quindi ong, organizzazioni internazionali o i ministeri stessi.
«Abbiamo fatto tanti accessi alle attività implementate dalle organizzazioni internazionali, soprattutto l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Unhcr, per capire come i fondi vengono effettivamente utilizzati», spiega Crescini, «per esempio nel caso dei rimpatri volontari o del sostegno alle comunità libiche: a chi vanno questi soldi, come vengono scelte le persone?».
Come funzionano le evacuazioni dalla Libia in paesi terzi
A ottobre 2019, 45,977 richiedenti asilo e rifugiati risultano registrati con l’Unhcr in Libia. Più di 3mila persone, secondo quanto riporta l’Alto commissariato sul suo sito, risultano rinchiuse in uno dei (pochi) centri di detenzione libici (parzialmente) accessibili. A novembre i rifugiati e richiedenti asilo in Libia registrati con le Nazioni Unite sono 45,215: 4,441 persone sono state evacuate in altri paesi: Niger, Italia, Romania e Rwanda.
Negli ultimi tempi per i cittadini stranieri – potenzialmente rifugiati e richiedenti asilo – presenti in Libia può essere disposto il trasferimento in Niger «dove saranno accolti e la loro domanda sarà valutata. Poi, come da disciplina generale del resettlement, dovrebbero essere reinsediati negli Stati terzi che accetteranno su base volontaria il loro trasferimento», spiega l’Asgi.
UNHCR Nov 2019 update on refugees and asylum seekers: 45,215 registered with UN in Libya, 4,441 evacuated to other countries – Niger, Italy, Romania and Rwanda. More updates on resettlement efforts.#LIBYA #MENA #GNA #LNA #REFUGEES #UNHCR https://t.co/cCmESVf9lu
— Libya News Live (@LibyaNewsLive1) 13 novembre 2019
Il reinsediamento è realtà già in vari paesi come Libano e Sudan: il meccanismo è gestito interamente dall’Unhcr che contatta i paesi «che hanno volontariamente dato disponibilità per il trasferimento di rifugiati sul loro territorio, organizza le audizioni, lo scambio delle informazioni e comunica le decisioni finali in merito al reinsediamento al richiedente». In Niger accade anche «per volere della Commissione Europea con i necessari aggiustamenti legati alla peculiarità del caso di specie. Anche il Niger, infatti, come il Sudan e il Libano, è territorio di transito per molti rifugiati che cercano di raggiungere gli Stati membri dell’Unione Europea», spiega l’Asgi.
Alla lista dei paesi “terzi” dove le persone possono evacuate dalla Libia si è recentemente aggiunto anche il Rwanda: un primo gruppo di persone, 66, è arrivato all’aeroporto di Kigali a fine settembre. Ora si attende il terzo.
Proprio queste operazioni sono oggetto della nuova richiesta di accesso civico dell’Asgi. «Rifugiati e richiedenti asilo dovrebbero essere portati dalla Libia in Rwanda e qui dovrebbero essere processate le loro domande di asilo, per poi farli partire nei vari paesi dell’Unione europea che hanno aderito all’accoglienza», racconta Giulia Crescini.
Il fatto è che il meccanismo non funziona come dovrebbe. «Quello che abbiamo già visto succedere in Niger è che i resettlement sono particolarmente lenti. Le persone vengono trasferite in Niger e in Rwanda ma poi gli stati dell’Unione europea non adempiono agli obblighi che si sono assunti e non autorizzano i trasferimenti». E le persone «restano lì, sospese in un paese terzo».
Ed è tutto molto lento, come racconta lo stesso Unhcr. Il Niger, per esempio, «ha detto che avrebbe ospitato 500 persone alla volta e ha impedito all’Unhcr di portare altre persone fino a che quelle presenti non verranno ricollocate», aggiunge Crescini. Secondo i dati aggiornati a ottobre, ci sono un migliaio di persone evacuate dalla Libia e attualmente in Niger: 159 di loro hanno meno di 18 anni.
In questa strategia dell’Ue, le organizzazioni internazionali «vengono strumentalizzate», secondo l’avocata dell’Asgi. L’Europa «continua nella sua politica di blocco e costrizione delle persone in Libia proprio perché poi può dire pubblicamente che sta migliorando le condizioni di vita nei centri e che le persone bisognose vengono evacuate. In realtà si tratta di pochissime persone che poi restano anche incastrate in paesi ancora più lontani da quello che avevano desiderato».
Gashora TC can now accommodate over 300 refugees. As we expect the 3rd evacuation flight in few weeks, @Refugees, @RwandaEmergency and partners continue deploying efforts to cater for the needs of evacuees while working to increase the reception capacity of this ETM facility. pic.twitter.com/8uJhI8Mo21
— UNHCR Rwanda (@RefugeesRwanda) 15 novembre 2019
Quindi dove vanno a finire i soldi?
Dalle richieste di accesso agli atti precedenti, racconta ancora a Open l’avvocata Crescini, «abbiamo scoperto molto». Da un punto di vista governativo «è emerso un vero e proprio sviamento dei fondi: i soldi del Fondo Africa addirittura utilizzati per rimettere in efficienza le motovedette date alla Libia». La scoperta risale a due anni fa: 2,5 milioni di euro del Fondo Africa impiegati per la rimessa in efficienza di quattro motovedette da consegnare alla Guardia costiera libica. Sviati, sostiene l’associazione, e destinati ad altro – in questo caso l’esternalizzazione delle frontiere. E a un ente sotto inchiesta del Tribunale dell’Aia. «Abbiamo fatto un ricorso contro l’utilizzo secondo noi illegittimo di questi fondi al Tar», spiega Crescini. Il ricorso è stato rigettato in primo grado e ora la questione si trova davanti al Consiglio di Stato. L’udienza è prevista per aprile 2020.
Nel caso dell’Emergency Transit Mechanism, spiega ancora Crescini, «sulle modalità di utilizzo dei fondi il rischio è molto inferiore, ma vogliamo capire quali attività e quali soggetti ricevono questi fondi, per il principio di trasparenza e la possibilità, da parte del cittadino, di controllare come vengono usate le risorse pubbliche».
Sapere quindi se «vengono usati per esempio da ong libiche di cui non si conosce la provenienza, essere certi che non vengano dispersi e che non vadano a rafforzare le autorità libiche». Il punto è lì: «Vengono usati nei centri di detenzione? Vengono utilizzati nel Departure Center? Lo stesso Unhcr ci dice che non ha il pieno controllo di quel transit center. Come si fa a metterli lì con la certezza che non vadano a rafforzare quelle milizie che stanno prendendo il controllo del Transit Center?», dice l’avvocata.
Il Fondo Africa e la Farnesina
Tra le richieste di accesso agli atti, l’Asgi si è anche già rivolta al ministero degli Esteri. La Farnesina infatti, tramite il Fondo Africa, in due anni e mezzo sta dando oltre 30 milioni di euro alle organizzazioni internazionali in Libia. «Abbiamo chiesto al ministero di dirci quali erano le garanzie e le attività che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni doveva porre in essere in Libia con i soldi provenienti dal fondo Africa, in quel caso per un totale di 18 milioni: quali comunità li utilizzano, come funziona il rimpatrio volontario, se sono rispettate le garanzie delle persone, se è chiaro che le persone non vengono rimpatriate in paesi pericolosi, quali sono le attività per cui è sicuro che i soldi non vadano a rafforzare le autorità libiche», spiega Crescini.
La risposta della Farnesina? «Ci ha detto che non aveva mai chiesto all’Oim tutte queste specifiche. L’Oim aveva comunicato che, di quei 18 milioni, 10 venivano usati per il rimpatrio volontario, 2 per ‘attività di sensibilizzazione’, 6 per ‘comunità’».
L’Asgi allora ha chiesto al ministero degli Esteri se esisteva un resoconto finale sulla destinazione dei fondi. «Ci hanno risposto che non avrebbero potuto darcelo, per non mettere a rischio le relazioni della Farnesina con l’Oim stesso», dice Giulia Crescini. «Abbiamo fatto ricorso al Tar per avere accesso almeno ai rendiconti: altrimenti abbiamo un vero buco nero di 18 milioni di euro».
In copertina un bambino del Burundi in un campo per rifugiati dell’Unhcr a Gashora, 55km circa a sud della capitale Kigali, Rwanda, 18 maggio 2015. EPA/DAI KUROKAWA
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