Hong Kong, la rete dei genitori tra chat e social: così provano a salvare gli studenti sotto assedio dagli arresti
Sono ancora bloccati dentro, gli studenti dell’Università Politecnica di Hong Kong, assediata da sabato 17 novembre. Sono ancora centinaia quelli che non sono riusciti a scappare, e la situazione ha contribuito a rendere visibile un altro gruppo di contestazione: quello dei genitori. Alcuni di loro hanno cercato di entrare nell’università e sono stati fermati dai tiri di proiettile anti-sommossa della polizia. La prigionia dei loro figli ha spinto in prima linea molti cinquantenni e sessantenni che prima non osavano scendere in strada.
Mentre domenica si terranno le elezioni amministrative in un clima che si fa sempre più teso, sale il sostegno per i manifestanti. Secondo alcuni sondaggi, l’80% degli abitanti dell’isola è d’accordo con l’azione dei manifestanti, mentre meno del 20% sta dalla parte della Governatrice Carrie Lam. Il supporto per le contestazioni, sempre più diffuso, ha assunto anche un carattere più «indulgente» rispetto all’uso della violenza da parte dei giovani manifestanti. Questo sarebbe per molti giustificato in quanto reazione alle azioni della polizia.
Ora quasi tutte le famiglie di Hong Kong hanno fatto propria la rivoluzione, e le prove sono molte. Reuters racconta della solidarietà spontanea di famiglie che hanno dato ospitalità a un giovane dopo che ha lasciato il lavoro per dedicare più tempo alla contestazione politica. In una logica anti-capitalista nel luogo-emblema del capitalismo, si è formata una reta di passaggi in auto gratuiti e soggiorni gratis in alloggi di Airbnb. Chi per età o per paura non se la sente di scendere in strada, dà come può il suo aiuto ai manifestanti.
Così nasce la «Uber ambulance», nome che strizza l’occhio alla gig economy ma che in realtà è un servizio di passaggi gratuito, che conta già 32.000 membri. Di questo servizio faceva parte anche la staffetta di motorini, organizzata domenica che ha permesso ad alcuni studenti di scappare dal Politecnico assediato. Molte chiese hanno aperto le loro porte ai ragazzi e gli abitanti vi portano cibo, coperte e indumenti che potrebbero essere utili.
Poi c’è Facebook, che si rivela utile per i genitori boomer di questi ragazzi ribelli. Lo usano per scambiarsi informazioni mantenendo l’anonimato, per organizzare turni di supporto logistico ai propri figli, e per distribuire cibo e coperte. «Se mia figlia non fosse chiusa dentro, non mi sarei mai avvicinata cosi tanto al fronte», ha confessato un padre al New York Times.
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