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Ilva, i manager accusano Arcelor: «Ordini annullati e zero manutenzione, così l’azienda muore» – Il documento

22 Novembre 2019 - 16:43 Sara Menafra
I manager di Ilva ai pm di Milano: “Chiudere di botto inquina e danneggia gli impianti”

La procura di Milano si schiera dalla parte dei commissari di Ilva (e quindi del governo). Senza tanti giri di parole, in dieci pagine che contengono i verbali di ben tre manager dell’azienda, ascoltate nell’ambito del procedimento penale, spiegano che lo scudo penale nulla c’entra con questa partita. E che il contratto è valido e il gruppo ArcelorMittal è tenuto ad adempierlo.

Il documento è stato depositato nella causa civile promossa con un ricorso d’urgenza dai Commissari Straordinari dell’ex Ilva e se ne parlerà in aula il 27 novembre.

Il vero motivo per cui ArcelorMittal vuole lasciare Taranto è la sua “crisi d’impresa” scrivono i pm: «La vera causa della disdetta, pretestuosamente ricondotta al venir meno dello scudo ambientale abrogato dalla legge 128/2009 è eziologicamente riconducibile alla crisi di impresa di AMI e alla conseguente volontà di disimpegno dell’imprenditore estero».

«Problemi di manutenzione»

L’executive manager di Ilva, Salvatore De Felice, si spinge anche oltre. Sfatando un altro dogma dato per certo in queste settimane. La crisi dell’impianto di Ilva non sarebbe dovuto alla crisi del settore dell’acciaio ma a problemi nella produzione dovuti a “carenza di manutenzione”: «La causa principale del rallentamento della produzione era imputabile all’acciaieria che non riusciva a smaltire la ghisa prodotta e suoi problemi erano da imputarsi alla manutenzione. Conferma indiretta del collo di bottiglia dell’acciaieria si ricava dal fatto che a valle, all’interno del processo di produzione, per sfruttare la capacità del successivo impianto di laminazione si acquistavano delle bramme di acciaio».

“Chiudere anche a Est”

Aggiunge, sempre De Felice, che il ridimensionamento delle acciaierie riguarda tutta la multinazionale, a cominciare dagli impianti nell’Est Europa: «Ci fu detto dal Ceo del gruppo, Gert Van Poelvoorde, che analoghe misure di ridimensionamento degli impianti produttivi, in termini soprattutto di ‘fermata degli stabilimenti’, erano state prese in altri Paesi, ad esempio in Polonia nello stabilimento di Cracovia».

La decisione di chiudere è stata presa in modo particolarmente rapido, aggiunge: «L’AD Morselli ha dichiarato ufficialmente ai
primi di novembre in un incontro con i dirigenti e quadri
che aveva fermato gli ordini, cessando di vendere ai clienti».

I rischi ambientali se si spegne tutto

De Felice spiega anche che il piano di spegnimento, ora interrotto, era molto rapido. E che anche ora che è stato sospeso, l’azienda è destinata a morte certa se non si fa qualcosa: «Nonostante la sospensione del piano di fermata, l’azienda non ha tutto quello che serve per proseguire l’attività, in quanto l’approvvigionamento delle materie prime è stata cancellato. Il piano prevedeva di lasciare una scorta minima di materie prime solo per un altoforno per un mese».

Con danni sia all’impianto sia all’ambiente, già martoriato, di Taranto.  «Ogni fermata di un altoforno, e il successivo raffreddamento, seppure operato seguendo le migliori pratiche, non è mai senza danni. Si riduce la vita tecnica dell’impianto». E ancora: «Le eventuali fessurazioni o micro fessurazioni hanno immediatamente un risvolto ambientale in quanto le fratture del refrattario permettono il trafilaggio di polveri del fossile all’interno dei fumi di combustione con le relative emissioni».

I manager di Arcelor

I manager di ArcelorMittal erano preoccupati? A sentire le persone ascoltate dalla procura di Milano pare di no. De Felice dice che «la partecipazione alle riunioni dei manager stranieri che ho prima individuato è stata saltuaria ( 2 / 3 volte nel corso dell’ultimo anno)». Claudio Sforza, Chief Operation Officer, ha aggiunto che in piu di una riunione, anche al Mise, la società aveva dichiarato che «aveva esaurito la finanza dedicata all’operazione».

E infine il  Chief Financial Officer di AMI, Steve Wampach ha quantificato le perdite: «Come previsione abbiamo circa 700 milioni di perdita per il 2019».

Le perdite, apparentemente legate anche a mancanza di investimenti sulla manutenzione, sono una ragione sufficiente per interrompere il contratto e spegnere tutto? No, dice la procura di Milano. Perché Arcelor si è impegnata a mantenere gli stabilimenti Ilva almeno al valore che avevano quando le sono stati affidati.

Ora la parola definitiva dovrà dirla il tribunale.

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