Alitalia: il consorzio non c’è più. Cosa è successo e che cosa può accadere ora
Il consorzio che si stava formando per provare a salvare Alitalia non c’è più: lo ha spiegato il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli durante l’audizione in commissione Industria al Senato. Poco dopo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha aggiunto: «Non abbiamo una soluzione di mercato a portata di mano. Rimane l’offerta di Fs e Delta. Vediamo se si confermerà l’interesse di Lufthansa».
Il passo indietro di Atlantia, è stato dunque fatale. E adesso cosa succede? Il governo potrebbe nominare un super-commissario che sostituisca gli attuali (Daniele Discepolo, Enrico Laghi e Stefano Paleari) per creare una nuova task force incaricata di rendere “appetibile” la ex compagnia di bandiera e trovare nuovi compratori, o convincere Atlantia a rientrare.
Ci sono almeno due scenari possibili: il fallimento di Alitalia, dopo che lo Stato ha però speso in totale 8,7 miliardi di euro per tenerla in vita (secondo stime di Mediobanca aggiornate dal Sole 24 ore) e migliaia di posti di lavoro persi. Oppure il governo potrebbe decidere di intervenire ancora una volta nella società, investendo soldi pubblici.
Potrebbe fare questo attraverso un nuovo prestito ponte, già previsto nella manovra 2020: c’è però il rischio di finire nel mirino delle istituzioni europee come “aiuto di Stato”. La Commissione Ue è già in contatto con le autorità italiane in merito al possibile nuovo prestito da 400 milioni di euro. Oppure si potrebbe creare una bad company per separare la parte “malata” della società, salvando solo gli asset più sani. Facciamo un passo indietro cercando di ricapitolare le vicende di Alitalia degli ultimi anni.
La lunga crisi della compagnia: dal 1998 all’11 settembre
È almeno dal 1998 che la compagnia aerea fatica a sollevarsi da uno stato di crisi. In quell’anno il presidente del Consiglio Romano Prodi intavola un accordo che avrebbe portato all’ingresso di Air France e Klm in Alitalia. Ma, nel 1999, la trattativa salta per l’opposizione dei lavoratori.
Alitalia, già con i conti in rosso nonostante una prima privatizzazione parziale avvenuta nel 1996, subisce un duro colpo con l’attentato dell’11 settembre 2001. Tutto il settore è in caduta libera e anche all’estero si procede a una privatizzazione parziale o totale delle compagnie di bandiera. Mentre Air France conclude la fusione con Klm, Alitalia resta l’unica grande compagnia europea a controllo statale.
Prodi ci riprova: 2006 – 2008
Nel 2006 la compagnia è sull’orlo del fallimento. Il secondo governo Prodi decide così di vendere una parte delle quote che possiede il ministero dell’Economia. La gara d’acquisto del 39% delle azioni messe in vendita è deserta. Il governo ci riprova nel 2007 e questa volta si opta per una trattativa diretta con un compratore scelto nel settore aereo.
Ritorna in auge l’opzione della vendita di Alitalia al gruppo Air France-Klm: l’opzione prevede il pagamento dal gruppo franco-olandese di una cifra pari a 1,7 miliardi di euro. Nelle clausole, è previsto il mantenimento dello status quo delle rotte, una lieve riduzione della flotta di aerei e l’esubero di 2.100 dipendenti.
C’eravamo quasi: 2008
Il governo accetta: la trattativa sta per concludersi a marzo 2008 ma Air France ci ripensa, per due motivi. Il primo è che a gennaio dello stesso anno la maggioranza viene sconfitta in un voto al Senato e le consultazioni al Quirinale non portano alla formazione di un nuovo governo. Secondo, finendo anticipatamente la legislatura, bisogna andare al voto già quella primavera. L’uomo forte della campagna elettorale è Silvio Berlusconi. E senza un interlocutore favorevole, la trattativa non può finalizzarsi.
Uno dei punti chiave della propaganda di Berlusconi, infatti, è proprio la questione Alitala: «La compagnia di bandiera deve restare italiana», dice, e promette la formazione di una cordata di «coraggiosi imprenditori italiani» pronti a investire in Alitalia. «In questo settore nessuna operazione di questo tipo si può fare in modo ostile e contro un governo» chiosa il presidente del gruppo Air France-Klm e si ritira dall’accordo.
Il niet di Berlusconi e la cordata di imprenditori italiani: 2008
Silvio Berlusconi vince, come anticipato dai sondaggi, le elezioni e viene nominato presidente del Consiglio l’8 maggio 2008. Passano pochi mesi e la formazione della cordata per salvare Alitalia è pronta. Nasce la Cai, Compagnia aerea italiana: la società, composta da una ventina di imprenditori è guidata da Roberto Colaninno. Ma ci sono quasi tutti i grandi gruppi italiani a farne parte: Benetton, Caltagirone, Marcegaglia, Ligresti, Riva (i proprietari dell’Ilva) e Tronchetti Provera.
Cai prende possesso del marchio e della parte sana della compagnia, la good company: l’operazione, però, è criticata da molti poiché le condizioni contrattuali sono peggiori per lo Stato rispetto a quelle imbastite con Air France-Klm. La cordata impegna 700 milioni in meno rispetto al gruppo franco-olandese e i «capitani coraggiosi» operano un piano di riassorbimento in altro incarico di 7.000 dipendenti.
Tradotto? Circa 5.000 esuberi in più rispetto a quelli previsti dall’accordo con France-Klm. Inoltre la bad company, con un costo che si stima tra il miliardo e i due miliardi di euro, resta sulle spalle dell’erario. Nella stessa operazione, viene acquistata da Cai anche AirOne, la quale entra nella famiglia Alitalia con i suoi milioni di debiti a carico.
Entra in gioco Ethiad: 2014 – 2017
In cinque anni, la compagnia aerea sfiora più volte il fallimento. Il piano della cordata non funziona e Eni arriva al punto di minacciare il taglio del carburante a causa dei debiti accumulati con la società di idrocarburi. C’è Enrico Letta al governo: per salvare la compagnia, il leader del Pd organizza l’ingresso di Poste italiane tra i soci di Alitalia che avviene a cavallo tra il 2013 e il 2014.
La compagnia ha buchi da tutte le parti: i giornali parlano di perdite da 700mila euro al giorno e l’operazione di Letta non trova i favori dell’opinione pubblica. Molti vedono l’ingresso di Poste italiane come un salvataggio di Stato a danno dei contribuenti.
A novembre 2014 sono gli arabi di Ethiad a tenere viva la speranza di non far fallire Alitalia. Acquistano il 49% delle azioni, dopo il nullaosta dell’Unione europea, e immettono liquidità nel gruppo: l’obiettivo è quello di riorganizzare le attività della compagnia aerea italiana e limitarne le perdite. Viene rifatta la livrea dei voli, il look di hostess e steward, ma la situazione è sempre la stessa: nel 2017 si ripropone una crisi finanziaria per Alitalia. A maggio l’assemblea dei soci approva l’ingresso in amministrazione straordinaria e il ministero dello Sviluppo economico eroga un prestito-ponte da 900 milioni di euro. Contestualmente, sono nominati tre commissari straordinari in attesa di un nuovo acquirente.
Treni, autostrade, Delta, Lufthansa: un grande calderone, dal 2018 a oggi
Nel mese di dicembre 2018, il governo M5s-Lega approva una proroga per la restituzione del prestito ponte di 900 milioni. Ne mancano 300 e la data di consegna da parte di Alitalia è posticipata dal 31 dicembre al 30 giugno dell’anno successivo. Ma è già da ottobre 2018 che il governo gialloverde sta elaborando un’ipotesi di salvataggio della compagnia che prevederebbe l’ingresso di Ferrovie dello Stato nel gruppo: sarebbe il primo matrimonio al mondo tra una compagnia di treni e una di aerei. La soluzione sul tavolo di Palazzo Chigi è l’acquisto delle quote di maggioranza da parte di Fs e Tesoro. Ma per restare nei parametri europei serve che almeno il 30% delle azioni sia in mano a dei privati.
A questo punto si succedono varie proposte d’imprenditori, ma nessuna si concretizza. La prima ad affacciarsi è la compagnia aerea americana Delta, che però mette sul piatto “solo” 100 milioni di euro in quote societarie, circa il 10%. Siamo distanti dal 30% richiesto dall’Ue. Poi si fa avanti il gruppo Toto, ex proprietario di Airone, un gruppo legato alla compagnia aerea colombiana Avianca e Claudio Lotito, tra le varie cose presidente della Lazio. Dato lo stallo, però, si è pensato di coinvolgere Atlantia, la holding che gestisce Autostrade per l’Italia e che fa capo alla famiglia Benetton.
Tra i motivi c’è anche un certo know-how da parte del gruppo che, tra le varie attività, gestisce l’aeroporto di Fiumicino. Ma le cose, quando c’è di mezzo Alitalia, non sono mai semplici: sono i mesi in cui si discute con toni accesi della revoca delle concessioni autostradali proprio ad Atlantia, a causa del crollo del Ponte Morandi a Genova. Per completare l’operazione in tempi brevi, Atlantia avrebbe preferito da un lato una certa indulgenza sul tema della revoca delle concessioni, dall’altro l’ingresso contestuale in Alitalia di un partner già strutturato nel traffico aereo.
Nelle ultime settimane di stasi, si è tornati a parlare dell’ingresso di Lufthansa, ipotesi già nell’aria da mesi ma passata in secondo piano rispetto alle manovre di Fs, Delta e Atlantia. La compagnia tedesca, tuttavia, ha già detto di essere principalmente interessata solo a un rapporto commerciale e senza entrare in Alitalia. Potrebbe ripensarci solo dopo una pesante ristrutturazione del vettore italiano. Che vuole dire, probabilmente, esuberi dei dipendenti.
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