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Esclusivo – Zingaretti pronto al piano B. Se col M5s va avanti così, crisi subito e al voto prima possibile

27 Novembre 2019 - 16:46 OPEN
L'ultima botta l'avrebbe data proprio la rottura sulle nomine Rai

Per quanto sembri incredibile l’ultima botta l’ha data la rottura sulle nomine Rai. Sembrava tutto sancito, con la firma di Franceschini e Spadafora per Pd e Movimento: Raidue e il tg2 restavano nell’area dell’opposizione, e Raiuno e tg1, così come Raitre e tg3, mantenevano o acquisivano direttori graditi alle due grandi forze di governo.

Solo che stanotte è arrivato il veto di Luigi Di Maio a una delle nomine, la più pesante per il curriculum dell’interessato: quella al tg3 dell’ex amministratore delegato, ed ex direttore del tg1 e del tg2, oltre che del Mattino e del Messaggero, Mario Orfeo. E tutto il pacchetto così è saltato, con una reazione dei dirigenti del Pd che solo con un eufemismo si può definire irritata.

Al di là dell’episodio in sé questa rischia di essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché arriva nel momento peggiore di questi tre mesi di convivenza nel Conte Due. Zingaretti e i suoi sono già stati scottati dalle giravolte grilline sulle prossime elezioni regionali, dove come è ormai chiaro il M5s sarà di fatto avversario del Pd, facendo così il gioco del comune avversario, il centrodestra a guida Salvini.

In più veti, divisioni interne e incertezze nel Movimento hanno incartato le partite Ilva e Alitalia. E infine Di Maio e Conte hanno fatto la voce grossa sulla riforma della prescrizione, mettendo il partito in forte difficoltà nel settore presidiato dal vicesegretario Orlando.

Così ai vertici del Nazareno ci si comincia a chiedere a che serve andare avanti con questa doccia scozzese, in cui alla fine il Pd, che era all’opposizione, si sta ritrovando in mano i cerini delle tasse necessarie a scongiurare l’aumento dell’Iva e della ratifica del nuovo accordo sul Mes, il fondo salva Stati, l’altra partita su cui, secondo Zingaretti, Di Maio ha fatto il furbo.

E allora il ragionamento è stato semplice: con una scelta forte si può mollare il Movimento, fare la crisi, andare all’attacco in Emilia-Romagna, e di lì andarsela a giocare come unica vera forza antisovranista alle elezioni anticipate, troncando la legislatura prima che scatti il taglio dei parlamentari, e prima che si possa celebrare l’eventuale referendum.

Anzi, gli eventuali referendum, visto che la Corte costituzionale potrebbe dare il via libera anche a quello leghista sull’abolizione della quota proporzionale. I più maligni, ma non certo i meno realisti, aggiungono anche altri due aspetti: andare al voto al più presto vorrebbe dire frenare la possibile crescita di Italia Viva e l’esordio stesso del movimento di Calenda, e portare nel nuovo parlamento almeno venti nuovi eletti, scelti dal nuovo segretario, che potrebbe anche scremare la squadra uscente, tutta decisa dall’ingombrante predecessore…

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