Gran Bretagna, studenti (e Ai Wei Wei) al fianco dei docenti. Ma perché stanno scioperando migliaia di accademici?
Nel Regno Unito, da Edimburgo a Londra, decine di migliaia di docenti universitari, di ricercatori precari e di docenti precari stanno scioperando. A partire dal 25 novembre (e fino al 4 dicembre incluso) non insegnano all’università, non correggono né temi, né verifiche, né esami, non rispondono alle email degli studenti se non per comunicare loro il fatto che non possono rispondere alle loro richieste.
Al loro fianco ci sono centinaia di studenti. C’è chi ha occupato edifici universitari, chi ha affiancato i docenti durante le manifestazioni e chi invece ha alzato il dito medio (o due dita, all’inglese) all’establishment accademico, come gli studenti dell’Università di Edimburgo che alla loro cerimonia di laurea hanno preferito dare un pamphlet anziché la mano al cerimoniere.
All’università di Cambridge ha anche avuto luogo un divertente siparietto tra alcuni docenti che sono stati avvicinati da un uomo che, esprimendo la sua solidarietà, ha però esortato severamente i docenti a fare «come a Hong Kong». «Chi sei?», gli hanno chiesto, un po’ indispettiti. «Ai Wei Wei», ha risposto il celebre artista e dissidente cinese.
First morning of the @UCU strike, a bloke comes up to us and says wryly that he supports us but we need to be more like the Hong Kong protesters. And then: “My name is Ai Weiwei.” 😮✊🏼 #CelebritySolidarity #UCUStrikesBack @aiww @CambridgeUCU pic.twitter.com/uvoH5nLhXl
— Nicholas Guyatt (@NicholasGuyatt) November 25, 2019
La riforma del sistema pensionistico (e non solo)
Il paragone di Ai Wei Wei (sì, è proprio lui, come conferma il suo account Instagram) pare azzardato, ma trasmette la dimensione epica dello scontro in atto tra docenti e università. Tutto comincia nel novembre del 2017 quando le università annunciano di voler rivedere il sistema pensionistico che per anni ha garantito ai docenti un’entrata stabile dopo il pensionamento.
Poco prima il regime pensionistico noto come il Universities Superannuation Scheme (USS) – un fondo del valore di circa 50 miliardi di sterline a cui contribuiscono circa 50 mila docenti appartenenti a decine di atenei in Gran Bretagna – ha annunciato di avere un deficit pari a 7,5 miliardi di sterline che non riusciva a colmare.
Non c’erano più soldi e l’unico modo, insistevano, era sostituire il sistema attuale con un nuovo modello dove la pensione viene erogata in base al ritorno sugli investimenti del fondo. I docenti non hanno apprezzato e dopo settimane di sciopero nel febbraio e marzo del 2017 si è arrivati a un difficile compromesso: il regime sarebbe rimasto lo stesso di prima ma i docenti (oltre alle università) avrebbero dovuto contribuire in misura maggiore: dall’8% del salario i contributi sono aumentati al 9.6% e dovrebbero aumentare ancora.
L’appoggio degli studenti
Da qui i nuovi scioperi: il sindacato dei docenti chiede un tetto ai contributi pari all’8%. Ma la polemica e lo scontro ideologico è più ampio e riguarda l’intera organizzazione del sistema universitario britannico che ha subìto cambiamenti radicali negli ultimi anni, a partire dalla decisione nel 2010 del governo guidato da David Cameron di triplicare la retta universitaria a 9 mila sterline. (Le responsabilità ci sono da entrambe le parti: fu il labour nel 1998 a introdurre le rette universitarie).
PhD researchers & postdocs from the @EuropeanUni in Florence send their solidarity to the #UCUStrike of Higher Education workers in the UK! @ucu @UCUAnti_Cas pic.twitter.com/S5aodn1R6K
— Arianna Tassinari (@Ari_Tassinari) November 26, 2019
Le istanze dei docenti sono diverse e riguardano in generale una serie di diritti e di vantaggi ottenuti dalle generazioni di accademici che li hanno preceduti e che adesso rischiano di venire meno. Si parla di precariato, di ritmi e volumi di lavoro ritenuti insostenibili, di tagli agli stipendi. Ma anche di tematiche “nuove” come la disparità salariale e di opportunità, sia di genere che di “etnia”.
Tutte tematiche alle quali gli studenti – o almeno una parte – sono sensibili e per i quali sono disposti ad agire in solidarietà con i loro docenti. Una parte, ma non tutti: il sindacato degli studenti (NUS) segnala che ci sono state lamentele da parte degli studenti che – anche al netto dell’aumento della retta universitaria – stanno cercando di ottenere una compensazione per i giorni di studio persi.
Si lamentano del fatto di dover portare il peso delle scelte dei docenti che a loro volta si lamentano di dover sopportare il peso delle scelte del management universitario che a sua volta sventola bandiera bianca dicendo che i fondi per pagare le pensioni dovranno essere sottratti ad altre aree (alla ricerca? All’innovazione?).
Un circolo vizioso in cui l’unico punto fermo pare essere la richiesta di condizioni dignitose di lavoro, come dichiara la vicepresidente del sindacato degli studenti, Claire Sosienski Smith: «Gli studenti non sono felici di dover saltare le lezioni, ma non saranno nemmeno contenti di lavorare in istituzioni dove i docenti sono sottopagati e lavorano troppo. Incoraggiamo gli studenti a mettere pressione ai loro atenei per migliorare le condizioni lavorative dei loro docenti, dello staff tecnico e degli assistenti ricercatori. L’unico modo di costruire un sistema educativo accessibile, ben finanziato e longevo è quello di collaborare con i docenti in un sistema lavorativo dignitoso».
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