Alan Kurdi e Salvini: non è vero che le ONG devono «sbarcare a casa loro» e nella sentenza ci sono dei copia-incolla di un testo del 2014
Ad aprile 2019 Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, non voleva concedere lo sbarco dei migranti che si trovavano a bordo della nave Alan Kurdi. Di fatto, la nave della Ong tedesca Sea Eye è rimasta bloccata per giorni in mare e venne aperta un’indagine per abuso d’ufficio e rifiuto di atti di ufficio contro Salvini. Oggi possiamo leggere la sentenza del Tribunale dei Ministri di Roma che archivia le accuse contro l’ex ministro, ma qualcosa non quadra.
Il punto cruciale della sentenza riguarderebbe la responsabilità dello «Stato di primo contatto» che viene associato a quello della nave, dunque la Germania – nel caso della Alan Kurdi – avrebbe dovuto assegnare un porto sicuro alla ONG tedesca. Almeno è così che sostengono Il Corriere della Sera – “I giudici scagionano Salvini: «Le Ong sbarchino nel loro Paese»” -, Il Giornale – “Il tribunale dei ministri dà ragione a Salvini: “Le Ong sbarchino nei loro Paesi”” – e Repubblica – “Migranti, il tribunale dei ministri scagiona Salvini: “E’ la nave lo Stato di primo contatto”“.
Ecco cosa riporta Il Giornale:
Adesso, però, il tribunale dei ministri ha messo nero su bianco che la linea del leader leghista non solo è lecita ma dovrebbe anche essere rispettata a livello europeo. Sebbene la responsabilità di assegnare un “porto sicuro” all’imbarcazioni, che trasportano gli immigrati prelevati in mare, tocchi allo “Stato di primo contatto”, le indicazioni ricavate da Convenzioni e accordi internazionali stabiliscono che “lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio”. Pertanto non spetta all’Italia farsi carico delle organizzazioni non governative che continuano a bussare alle loro porta. Nel caso della “Alan Kurdi”, che dopo il “no” di Roma si era diretta a Malta, ha dunque fatto bene Salvini a bloccarla visto che l’imbarcazione batte bandiera tedesca. Anche perché, nonostante in alcuni casi le coste del Paese di riferimento della nave siano lontane, “la normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti”. Nemmeno quando questi sono in pericolo.
Devono sbarcare nello Stato di cui batte bandiera?
Matteo Salvini pubblica alle ore 22:42 un’immagine nei suoi account e pagine social con la seguente scritta e la citazione copia incollata dagli articoli di giornale:
I giudici scagionano Salvini! «Le ONG sbarchino nel loro paese»
Cosa potrebbe succedere se lo «Stato di primo contatto» fosse la Svizzera? Comunque sia, la risposta al meme pubblicato dal leader leghista è sbagliato, perché la sentenza non sostiene affatto che debbano sbarcare nello Stato del quale battono bandiera. Le convenzioni e gli accordi internazionali parlano chiaro: è il porto sicuro più vicino la destinazione delle navi che si trovano ad affrontare casi come quello della Alan Kurdi.
Nel caso della sentenza si sostiene che lo Stato battente bandiera debba collaborare nel coordinamento di situazioni del genere, ma non è assolutamente una novità! Basti vedere le linee guida del Comitato Marittimo per la Sicurezza dell’IMO adottate nel 2004 e citate in un’audizione alla Camera del contrammiraglio della Guardia Costiera Sergio Liardo:
Lo scopo delle norme internazionali vigenti dal 2004 è quello di assicurare che all’obbligo del comandante della nave di prestare assistenza faccia da necessario complemento l’obbligo degli Stati di coordinare le operazioni e fornire ogni possibile assistenza alla nave soccorritrice, liberandola quanto prima dall’onere sostenuto in adempimento del dovere di soccorso. In particolare tali emendamenti e le discendenti linee guida emanate dall’IMO (Ris. MSC 167-78 del 20.5.2004) hanno stabilito l’obbligo, per lo Stato cui appartiene il MRCC che per primo abbia ricevuto la notizia dell’evento o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell’evento.
Il copia-incolla nella sentenza
Matteo Villa, ricercatore all’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) di Milano, nota un dettaglio nella sentenza e lo racconta su Twitter:
La parte di decreto di archiviazione su #AlanKurdi che travisa completamente il diritto internazionale è un copia-incolla, parola per parola, di un lavoro del 2014 del “Gruppo di studio del Progetto Lampedusa”.
Una delle decisioni più importanti di sempre.
Copiata.
Dice il vero? A pagina 5 della sentenza leggiamo:
Le autorità di uno Stato costiero competente sulla zona di intervento che abbiano avuto notizia dalle autorità di un altro Stato della presenza di persona in pericolo di vita nella zona di mare SAR di propria competenza devono intervenire immediatamente senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica di dette persone (punto 3.1.3 conv). L’autorità competente così investita dalla questione deve accusare immediatamente ricevuta dallo Stato di primo contatto e indicare allo stato di primo contatto, appena possibile, se sussistano le condizioni per effettuare l’intervento (3.1.4 conv.). Sarà lo Stato che ha avuto il primo contatto con le persone in pericolo in mare a coordinare le operazioni di salvataggio, tanto nel caso in cui l’autorità nazionale competente SAR dia risposta negativa alla possibilità di intervenire in tempi utili, quanto in assenza di riscontro da parte di quest’ultima.
Matteo Villa sostiene che il testo sia stato copia-incollato da un documento «Progetto Lampedusa» del 2014. Come possiamo vedere a pagina 3 del documento, il testo è identico salvo in alcuni punti:
Ecco il confronto dei due testi, a sinistra il documento del 2014 e a destra quello della sentenza:
Il testo del 2014 non è affatto una Convenzione internazionale, mentre proprio i punti 3.1.3 e 3.1.4 della Convenzione di Amburgo – fonte presente nel testo del lavoro pubblicato dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura – riportano tutt’altro: la richiesta di un Paese terzo nel mare territoriale del Paese in cui ci sia necessità di fare un salvataggio, come spiega Matteo Villa in un tweet. Ecco i testi pubblicati sul sito del Senato italiano:
3.1.3. A meno che gli Stati interessati non decidano altrimenti, di comune accordo, le autorità di una Parte che desideri che le sue unità di salvataggio entrino nel mare territoriale di un’altra Parte o la sorvolino al solo fine di cercare la posizione delle navi sinistrate o di raccogliere i superstiti di detti incidenti inviano una richiesta con tutte le informazioni, sulla progettata missione e sulla necessità di detta missione, al centro di coordinamento di salvataggio dell’altra Parte o ad ogni altra autorità designata da detta Parte.
3.1.4. Le autorità competenti delle Parti: 1. accusano immediatamente ricevuta di detta domanda; e 2. indicano appena possibile se del caso le condizioni in cui può essere effettuata la progettata missione.
Questo invalida l’archiviazione?
No. Comunque, vale la pena leggere il finale delle motivazioni:
In definitiva l’assenza di norme di portata percettiva chiara applicabili alla vicenda che si occupa non consente di individuare, con riferimento all’ipotizzato, indebito rifiuto di indicazione del POS [porto sicuro], precisi obblighi di legge violati dagli indagati e, di conseguenza, di ricondurre i loro comportamenti a fattispecie di penale rilevanza sotto il paradigma dei delitti p.e.p. dagli artt. 323 e 328 cp.
La conclusione cui si è pervenuti e la conseguente impossibilità di sostenere un’accusa in giudizio con riferimento a delitti oggetto del presente procedimento, giustifica, al di là degli argomenti in essa sviluppati, l’accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dal PM e rende superflua la trattazione di ogni ulteriore question pure prospettata con riferimento alla configurabilità del dolo internazionale richiesto ad integrare il delitto di abuso d’ufficio, nonché quanto al delitto di rifiuto di atti d’ufficio, all’effettiva possibilità di dimostrare l’idoneità del rifiuto di indicazione del POS a cagionare un rischio per la salute dei migranti soccorsi in mare.
Risulta strano che nella sentenza viene riportata una frase intera due volte, forse a causa del copia-incolla:
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