Calcio, Mondiale per Club a Pechino. La Fifa chiude un occhio sui calciatori uiguri deportati nei lager cinesi
Il 24 ottobre la Fifa ha assegnato l’organizzazione del primo mondiale per club a 24 squadre alla Cina. L’annuncio è arrivato da Shanghai dallo stesso presidente della Fifa, Gianni Infantino. Una notizia che ha scioccato molti osservatori attenti, viste le regole della Federazione internazionale a proposito dell’assegnazione di competizioni sportive a Stati con documentate violazioni dei diritti umani. In una lettera dello scorso 29 ottobre, Human Rights Watch ha chiesto alla Fifa chiarimenti sull’assegnazione del mondiale a Pechino domandando come fosse possibile che la federazione con sede in Svizzera non avesse tenuto conto delle linee guida delle Nazioni Unite e della Fifa stessa su uno scrutinio approfondito a proposito del rispetto dei diritti umani da parte del governo cinese. Infantino ha provato a bloccare le polemiche sul nascere, chiarendo subito la posizione della Federazione: «Non è la missione della Fifa risolvere i problemi del mondo».
Ma l’assegnazione dei mondiali per club alla Cina rimane un dato preoccupante, soprattutto alla luce delle ultime rivelazioni sulla prolungata repressione della minoranza uigura, a maggioranza musulmana, nella regione cinese dello Xinjiang. Una recente fuga di documenti ha fatto luce sui campi di concentramento, definiti da Pechino «di rieducazione», con cui la Cina ha messo in piedi un’organizzazione sistematica del lavaggio del cervello e indottrinamento per più di un milione di persone.
Il sistema di massima sorveglianza documentato dai report fatti pervenire da alcuni esuli uiguri e «pentiti» del partito comunista cinese, non lascia dubbi sulla sistematica repressione e violenza arbitraria contro la minoranza turcofona. Tra i deportati figurano oltre ad accademici, intellettuali e persone comuni, anche calciatori, come Erfan Hezim e Erpat Ablekrem. Era il febbraio 2018 quando la giovane promessa della nazionale cinese, militante nel Jiangsu Suning – squadra del miliardario Zhang, proprietario anche dell’Inter – scomparve nel nulla dopo una trasferta in Spagna. Erfan, il cui nome è stato sinizzato in Ye Erfan, ha passato un anno in un campo di rieducazione prima di essere liberato dopo i ripetuti appelli della comunità internazionale a cui si era aggiunta anche la Fédération internationale des associations de footballeurs professionnels: «Restituitelo alla famiglia e alla sua carriera di calciatore».
A febbraio 2019, esattamente 12 mesi dopo, Erfan è tornato a giocare, ma qualcosa era cambiato. L’attaccante under 19 appena rientrato in campo ha voluto ringraziare il Partito e il Governo che «mi permettono di realizzare i miei sogni». Una frase che è suonata a molti come una costrizione. Ma la giovane promessa non è l’unico a essere finito in uno dei campi di “formazione” di Pechino. Anche di Erpat Ablekrem i familiari hanno perso ogni traccia. Inutili gli appelli della cugina che insieme a tante altre famiglie, divise, distrutte e private dei propri affetti ha chiesto su Facebook che il governo cinese riporti a casa il cugino, detenuto da quasi due anni.
Ma, nonostante il volta faccia di Infantino, la politica della Fifa sui diritti umani adottata nel 2017 parla chiaro e delinea la sua responsabilità nell’identificare e affrontare le conseguenze negative sui diritti umani delle sue scelte, inclusa l’adozione di misure adeguate per prevenire le violazioni. L’articolo 7 della politica per i diritti umani della Federazione del calcio internazionale afferma che «la Fifa si impegna costruttivamente con le autorità competenti e le altre parti interessate e fare ogni sforzo per sostenere le proprie responsabilità internazionali per i diritti umani». Nella lettera di risposta ai chiarimenti di Human Rights Watch , la Fifa ha ribadito che lavorerà con le autorità di calcio cinesi per assicurare il rispetto dei diritti umani durante l’organizzazione e lo svolgimento della coppa del mondo per club. Come ricorda Human Rights Watch, gli accordi per l’assegnazione di un evento sportivo, come la coppa del mondo, vanno resi pubblici. Ma gli atti dell’intesa tra la Fifa e la Cina non sono finora stati resi disponibili. La trasparenza è una parte fondamentale dei principi guida della Fifa e della Nazioni Unite, ma i soldi di Pechino sembrano aver oscurato anche questo.
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