Milano, vent’anni e musicista, tra lavori in nero e prestazioni non pagate – Le storie
Sono tutti ventenni, ai primi anni di studio universitario di musica. C’è chi fa il musicista jazz, chi vuole cantare musica pop, chi viene da vicino Milano, chi invece si è trasferito in Lombardia da vicino Viterbo, per esempio, con lo scopo di continuare gli studi. Tutti studiano musica e tutti cercano di guadagnare qualche soldo – e un po’ di visibilità – non solo insegnando nei ritagli di tempo ma anche suonando nei locali del capoluogo lombardo.
Lo fanno lontano dai riflettori della televisione, in locali più o meno conosciuti, affidandosi a “imprenditori” musicali o a proprietari di locali che promettono un palco in cambio di qualche ora di musica e – almeno all’inizio – di una giusta retribuzione. Che però spesso non arriva o, se arriva, arriva in ritardo o per metà.
Zero garanzie, niente contratti
«Ogni volta che vai a suonare c’è un problema, di qualsiasi tipo. Ma c’è un problema. I proprietari dei locali, gli organizzatori dei matrimoni ecc. devono guadagnarci in qualche modo. E alla fine rimani sempre un po’ fregato. Questa cosa mi capita nove volte su dieci. Perché non è considerato un lavoro. Non è così scontato che sia un lavoro essere un musicista, sembra quasi una specie di divertimento». A raccontarlo è Valentina, 20 anni, cantante e studentessa.
Lo scenario sembra essere sempre lo stesso: il musicista si presenta in un locale, chiede di poter suonare, magari gli viene chiesto di mandare un’email a cui non riceverà una risposta per settimane anche se poi però si trova un accordo: «Ti paghiamo in base a quante persone riesci a portare». Nessun accordo scritto, nessun contratto, tutto rigorosamente in nero.
«Mi hanno fatto suonare per quasi 6 ore con una pausa di mezz’ora e mi hanno pagato con un drink. Mi avevano detto che mi avrebbero pagato in base a quanta gente sarebbe venuta», racconta sempre Valentina, parlando di un locale molto noto nella zona di Corso di Porta Ticinese, a Milano, non lontano dai Navigli.
Non è l’unica, ovviamente: sono cose che avvengono almeno il 50% delle volte, secondo altre testimonianze raccolte. Come nel caso di Marta, 22 anni, studentessa e cantante pop: «Canto con una tribute band di Zucchero e avevamo trovato un lavoro in un locale prestigioso a Milano. Ci avevano detto che ci avrebbero pagato in base ai biglietti staccati in serata, giocando sul fatto che, essendo un buon locale, un minimo di pubblico ci sarebbe stato. Alla fine non è venuto nessuno, e noi non siamo stati pagati».
Turni estenuanti, minacce e pagamenti mancati
Un contesto così diseguale, con delle asimmetrie di potere così ampie, si presta allo sfruttamento e la situazione può facilmente degenerare. Come nel caso di Matteo e Riccardo, entrambi giovani musicisti ingaggiati da un impresario musicale truffaldino. Matteo, avvertito da un suo ex professore che la persona in questione aveva debiti per circa 5mila euro con altri musicisti, si è sfilato per tempo rinunciando all’ingaggio. Una rinuncia che gli è costata minacce verbali.
Riccardo è stato meno fortunato. Non avendo ricevuto informazioni in merito – il passaparola è fondamentale per i giovani musicisti sia per proteggersi, sia per trovare lavoro – decide di accettare. Ottanta euro a serata per suonare con il suo gruppo. Turni infiniti, ore e ore sul palco – che gli stessi musicisti hanno dovuto aiutare a montare – senza neppure gli spartiti. Pagamenti promessi e mai pervenuti. Quando Riccardo si fa avanti per farsi pagare, viene aggredito fisicamente. Poi altri assegni in bianco, fin quando non arriva la minaccia di denuncia.
Chi può tutelarli?
Ma perché non denunciare il proprietario di un locale che rifiuta il pagamento o non sta ai patti? Senza contratto in mano e senza un accordo scritto è difficile fare denuncia. «Spesso i giovani musicisti si trovano a concordare a voce serate, e questo non deve avvenire; la prestazione lavorativa dev’essere sempre contrattualizzata per poter agire nella piena legalità e con tutte le tutele assicurative del caso», dice Andrea Miccichè, presidente del NUOVOIMAIE, che si occupa della tutela dei diritti connessi di artisti, interpreti ed esecutori.
Complice anche l’inesperienza e la «troppa fiducia», come dice Valentina. «C’è un po’ di ignoranza» – ammette Greta – «noi musicisti abbiamo la colpa anche di adattarci molto a questo modo di fare, perché è un modo per lavorare». E poi c’è inevitabilmente la paura, in primis quella di non essere in regola – «non arriviamo ad avere i numeri per aprire una partita iva e raramente si prende in considerazione la ritenuta d’acconto».
Ma anche quella di farsi troppi nemici, troppo presto, come racconta Valentina: «I locali sono molto vendicativi e per tutelarci, noi musicisti, cerchiamo di evitare di metterceli contro, altrimenti rischiamo di bruciarci completamente una carriera in una città». Se poi sono i locali i primi a offrire lavoro in nero, a non pagare o addirittura a non avere una licenza per far musica dal vivo (e farla lo stesso) diventa più difficile non adeguarsi.
A chi possono rivolgersi i musicisti per avere una mano? Gli istituti di studio, come il Conservatorio di Milano, possono fare poco se gli studenti non segnalano le loro attività lavorative, cosa che a dire degli stessi studenti, spesso accade. Ci sarebbero le agenzie che in cambio di una percentuale sugli ingaggi tutelano di più i musicisti, come racconta Marta.
E poi ci sarebbero i sindacati. «Il problema è che non c’è un sindacato ad hoc» – spiega Vittorio Di Menno di Bucchiano, direttore di SOS Musicisti, un’associazione per la tutela della musica e dei musicisti – «il che rende difficile una rappresentanza efficace».
Gli stessi sindacati confermano. «Non esiste un sindacato che tuteli così questi ragazzi – spiega il segretario generale dell’Unione Artisti UNAMS Dora Liguori – perché la tutela prevede un’iscrizione. I nostri sono iscritti in quanto essendo docenti di conservatorio o accademie hanno un prelievo sullo stipendio, un minimo per il sindacato. Lo studente è in balìa della propria fortuna».
Servirebbe dunque un sindacato che si occupi direttamente dei giovani musicisti e servirebbero anche maggiori controlli nei locali, questo sì, magari a carico della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) visto che a differenza dei sindacati hanno accesso ai locali. E poi servirebbero anche investimenti, che puntino a valorizzare il patrimonio musicale italiano al di là dei reality.
«Il problema è che non ci sono sovvenzioni e quindi c’è meno lavoro», continua Liguori. «E là dove c’è, i musicisti vengono sfruttati anche perché c’è tanta domanda. Lo sfruttamento nasce dalla mancanza di lavoro e quindi di controlli. Se c’è un’associazione che viene aiutata dallo Stato è soggetta anche a dei controlli, funziona così. Ma tutto inizia con delle politiche di investimenti mirate a creare lavoro».
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