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«Una vita normale, ma non tanto»: le poesie lette dai detenuti nel carcere di San Vittore – Video

29 Novembre 2019 - 11:00 Giada Ferraglioni
Volontari, educatori e detenuti si incontrano nei corridoi di San Vittore per leggere poesie. Una testimonianza su come sopravvivere al carcere, nonostante il carcere

«Non vorrei mai essere venuto qui, in Italia.
Dove uno straniero rimane tale per sempre.
Non vorrei aver conosciuto l’eroina.
Non vorrei aver lasciato mio padre da solo.
Non vorrei aver creduto in lei, che ho sposato.
Non vorrei essere rimasto a Milano»

Quando il ragazzo con i ricci neri inizia a leggere questi versi, è difficile pensare che non siano i suoi. Le parole di Bruno Brancher gli escono naturali, senza che debba cambiare sguardo o espressione per renderle credibili. E anche quando Elena, una donna con i capelli raccolti in uno chignon alto e stretto, finisce di recitare una poesia di Alda Merini, nessuno pensa che ci sia bisogno di aggiungere altro.

È questa l’atmosfera che si respira nella casa di reclusione di San Vittore, nel pieno centro di Milano, durante il reading “Voci dentro e fuori dal carcere”, organizzato dalle Biblioteche in Rete in occasione dell’inaugurazione della biblioteca nel carcere dedicata a Brancher: una figura ambigua della letteratura, per nulla immacolata, che ha passato la vita a entrare e uscire da riformatori e galere. Spiombatore, armiere, ladro. A 57 anni tornò a San Vittore per aver tentato di uccidere la compagna, che lo aveva lasciato dopo essersi innamorata di un’altra donna.

A leggere i suoi testi e i suoi versi non poteva essere certo il primo che passava. Bisognava che li leggesse chi non aveva bisogno di tirar fuori del pulito o del buono dalle sue pagine, ma che le interpretasse per quello che erano: la testimonianza di una storia vera, nel bene o nel male. C’era bisogno di chi, come Brancher, nella scrittura e nella lettura non cercasse assoluzioni né redenzioni, ma nuove domande da porsi e diverse prospettive per continuare a stare al (e nel) mondo.

Storie vere come le vite di chi San Vittore lo abita oggi, oggi che è una casa circondariale – dove, cioè, sono detenute persone in attesa di giudizio e quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni. L’evento, organizzato nella cornice di Book City, è uno sguardo rubato a ciò che succede in quello che altro non è se non un quartiere della città.

«Un pezzo della città, al centro della città», come lo ha definito il direttore Giacinto Siciliano. «Dove ci sono persone che provengono da ogni parte, e che da qui poi torneranno fuori».

Mai più carcere ‘cimitero dei vivi’

«Le carceri italiane, cimitero dei vivi; erano così cinquant’anni fa, sono così oggi, immutate». Era il 1904 quando Filippo Turati pronunciò alla Camera dei Deputati parole di condanna contro la condizione delle carceri in Italia. Ancora oggi la questione è tutt’altro che risolta, nonostante il principio di umanità e la rieducazione dei detenuti siano diritti stabiliti dalla Costituzione.

E «mai più un carcere cimitero dei vivi» è stato l’impegno dei padri costituenti, per dare e ridare dignità ai soggetti all’interno dei vari istituiti di detenzione. Se l’articolo 27 sancisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», quello che è accaduto a San Vittore il 15 novembre di quest’anno è forse l’esempio massimo di quello che si intende.

Il reading, che ha coinvolto una ventina di detenuti (i giovani adulti, le donne del reparto femminile, altri dal terzo, dal quinto e dal sesto reparto), diventa un’occasione eccezionale. Un momento straordinario che educatori, volontari e professori cercano di rendere ordinario, per sopravvivere al carcere nonostante il carcere.

Un progetto non certo facile a San Vittore, che da casa circondariale – e quindi soggiorno provvisorio – vede un via vai continuo di facce, quasi mai le stesse. Ma che diventa un ginnasio di civiltà per il sistema detentivo più in generale, gestito da persone che cercano «di dare un senso a ‘sta vita balorda».

Una «bellissima biblioteca»

Era il 1989 quando l’allora direttore del carcere, il giovane Luigi Pagano, affrontò la prima grana della sua esperienza a San Vittore. Brancher, che di anni ne aveva 57, aveva deciso di lasciarsi morire di fame. Preoccupato dalla piega che poteva prendere la faccenda, Pagano lo invitò nel suo ufficio per una chiacchierata.

I due si scambiarono qualche parola, finché il detenuto non gli disse semplicemente: «Voglio morire, ormai ho perso tutto. Ho già 57 anni». «E che sarà mai?», gli rispose Pagano. «C’è gente che riinizia da 3, lei con le esperienze che si ritrova può permettersi di farlo a 57». Con lo stupore del direttore, Brancher annuì e decise di lasciar perdere quello sciopero.

Solo un aneddoto, forse nemmeno tra i più potenti delle vicende carcerarie che ogni giorno attraversano le case di detenzione italiane, ma che un accenno di verità la racchiude: nessuno si salva da solo. Libri, persone, affetti: sono queste le cose che hanno trasformato il Brancher delinquente nel Brancher scrittore. E proprio a lui, e a questa piccola verità, è ora dedicata la biblioteca del carcere.

Durante il reading, uno dei detenuti, il responsabile della biblioteca, toglie la tendina rossa che copre la targa. È un foglio bianco con su scritto: «Leggere mi ha sempre aiutato. Anche quando facevo il cattivo e finivo in galera. Ma non ero cattivo davvero. A San Vittore c’era una bellissima biblioteca, è stato lì che ho cominciato a riflettere».

Altri detenuti leggono altri versi di Brancher. C’è chi è più malinconico, chi è più agitato, chi la prende come un’occasione per divertirsi. Il mix di emozioni coinvolge anche chi assiste da esterno. Si ride, si piange, si sbadiglia e ci si distrae insieme agli altri, senza chiedersi se si rida, si pianga, si sbadigli o ci si distragga al fianco di qualcuno che ha spacciato droga fino a un mese prima, o che magari ha tentato di uccidere un amico o una parente.

Ma è proprio questa ambivalenza dello stare insieme che si impara dal carcere, non diversa da quella della vita di tutti i giorni: non si sa mai chi si ha di fronte. Anzi, a pensarci bene, qui lo si sa addirittura un po’ meglio. In fondo, qui è tutto un po’ più sincero.

Un obiettivo in comune: gli organizzatori del reading

I tasselli che hanno costruito un puzzle così complesso sono stati moltissimi. “Voci dentro e fuori dal carcere”, il reading itinerante accompagnato dalla voce e dalla musica di Paola Odorico e Carlo Marinoni, si è inserito nel programma “Bookcity per il sociale“, la cui responsabile è Antonella Minetto. Un evento seguito passo passo da Costanza Formenton e Silvia Introzzi di Fondazione Mondadori.

Il Sistema Bibliotecario urbano del Comune di Milano, poi, ha costituito una rete di partner che hanno dato vita al progetto “Biblioteche in rete a S. Vittore“, che collabora con la casa circondariale attraverso una logica inclusiva, sia per genere che per cultura. Attorno a questa realtà gravita una rete straordinaria di professori, come Luca Leccese, di educatori e di volontari, come Enrica Maria Borsari, Elvio Schiocchet, Sergio Seghetti, Ileana Montagnini e Cinzia Chinaglia.

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Foto, video e montaggio di Vincenzo Monaco. Musiche di Paola Odorico e Carlo Marinoni

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