“Sardine a passo Duomo”, il fondatore del movimento Roberto Morotti: «Noi non diamo risposte, la politica porti soluzioni» – L’intervista
Il centro di Milano è stato travolto – letteralmente – da una vera e propria corrente di Sardine. L’incontro era fissato per le 17.00 in piazza dei Mercanti. Una piazza troppo piccola per contenere il movimento nato a Bologna in risposta all’apertura della campagna elettorale di Matteo Salvini, a sostegno della candidata leghista Lucia Borgonzoni, per le Regionali del 26 gennaio 2020.
E a meno di un’ora dall’inizio del flash mob nel capoluogo lombardo, gli organizzatori hanno deciso di “nuotare” verso la poco distante, e ben più accogliente piazza Duomo, malgrado la pioggia battente non facesse presagire una grande affluenza. Ma nonostante ciò, le Sardine han raccolto intorno a sé 25mila persone, chi sotto i portici, chi in piazza.
Una piazza in cui era presente anche Roberto Saviano, che ha elogiato il movimento delle Sardine: «Non c’è nessun leader, nessuna volontà di dire vaffa o di fare rottamazioni. Questa è l’Italia che ha voglia di incontrarsi e ragionare».
E tra palco e piazza Duomo “nuotavano” anche i quattro fondatori delle Sardine di Bologna, i primi a “sfidare” Salvini, ma anche a mettere alla prova la politica sui generis. Ma verso quali orizzonti nuoteranno prossimamente le Sardine? Ne abbiamo parlato con Roberto Morotti, uno dei quattro fondatori.
Eravate pronti per tutto questo?
«Non ci aspettavamo minimamente una risposta del genere. Avevamo fatto il flash mob a Bologna ed era finalizzato a disturbare – nel senso di oscurare un po’ – l’inizio della campagna elettorale di Matteo Salvini in Emilia-Romagna. Che poi non è neanche la campagna elettorale di Salvini, ma della candidata della Lega Lucia Borgonzoni».
Cosa vi ha smosso?
«Non ci piacevano i toni con cui si approcciava questa campagna. Mattia (Santori, ndr) ci ha contattato una sera, e dopo una chiacchierata, ci siam chiesti cosa potevamo fare per arginare Salvini, che inizialmente si presentava come “liberatore” dell’Emilia-Romagna. Abbiamo pensato che noi non avessimo bisogno di un “liberatore” e che questa idea forse era condivisa anche da altri emiliano-romagnoli».
«Inoltre, l’ultima volta che Salvini era stato a Bologna aveva tenuto un comizio in piazza Maggiore dicendo che erano presenti 100mila persone. E più di qualcuno ha fatto notare che quella piazza non poteva contenere tutte quelle persone. Questa volta, invece, ha deciso di fare il comizio al Paladozza, e in quel caso non poteva mentire sui numeri, trattandosi di un palazzetto con un numero definito di posti».
È stato in quel momento che è nata una sorta di “sfida dei numeri”.
«Sì, ci siamo detti: “Se noi riusciamo a raccogliere 6mila persone, che sono quelle del Crescentone – che è una parte rialzata al centro della piazza – avremmo dimostrato che comunque ci sarebbero state più persone “contro” di lui che a suo favore. Per noi aveva un significato molto forte, ossia quello di dimostrare che la campagna elettorale in Emilia-Romagna non sarebbe stata tutta in discesa».
E la risposta della piazza, anche se inaspettata, non è venuta a mancare.
«È stato magnifica ed emozionante anche per noi. In un passaggio del suo discorso, Mattia (Santori, ndr) ha chiesto ai presenti “Quand’è che è stata l’ultima volta che siete scesi in piazza? Quand’è l’ultima volta che avete creato qualcosa?”. E in molti, effettivamente, non ne avevano memoria. Questo è stato il primo indice del fatto che i responsabili di questo dilagare di una politica fatta di odio, di insulti e di rabbia, alla fin fine, siamo noi stessi, perché non abbiamo fatto nulla per contrastarla».
Cos’è cambiato in voi dopo quella sera?
«Ci siamo resi conto che dalla risposta della piazza si poteva cambiare, o quantomeno provare a cambiare, i toni della politica in tutta Italia. Non ci saremmo mai aspettati tutta questa risonanza mediatica. Abbiamo visto che spuntavano eventi simili a quello da noi organizzato a Bologna in altre città d’Italia. In molti ci contattavano per chiederci come muoversi e come poter “replicare” il flash mob nelle loro città».
«Noi da sempre abbiamo dato massima libertà ed autonomia a questi altri eventi. Abbiamo coordinato, abbiamo cercato di conoscere chi li organizzava, cercato di mettere in contatto persone che magari lavoravano in gruppi diversi, ma sulla stessa città o provincia. Questo perché come è stata spontanea la nostra iniziativa, speravamo sarebbero state spontanee anche le altre. Le Sardine di Bologna non hanno ruolo di leader, e speriamo non ci sia bisogno di un leader per iniziative del genere».
Quali sono le prossime tappe?
«Il 10 dicembre a Torino e il 14 dicembre a Roma. Ma nel mezzo si stanno moltiplicando tante iniziative sparse per l’Italia e altre per l’Europa».
Tornerete a Bologna?
«Dopo Roma, per noi si apre un capitolo più specifico e mirato sull’Emilia-Romagna. Ci avviciniamo sempre di più alle elezioni e abbiamo bisogno di continuare il nostro lavoro sul territorio. Magari ci concentreremo là dove non siamo riusciti ad arrivare con i flash mob: lontano dai centri città».
Si avvicinano però anche le elezioni in Calabria. Lì come si muoveranno le Sardine?
«In Calabria continueremo a incentivare il lavoro del gruppo delle Sardine calabresi, ma che verrà portato avanti in totale autonomia. Noi non ci sentiamo di andare a spiegare come fare questa cosa alle altre persone in giro per l’Italia. È inutile portare iniziative standardizzate in posti dove ci sono persone più competenti che possono lavorare in autonomia, sulla scia del Manifesto delle Sardine».
«Noi in piazza portiamo pochi valori: semplici, chiari, ma soprattutto condivisibili tra tante persone diverse. Chi ci chiede: “Di che partito siete?” non ha capito niente delle Sardine. Noi portiamo in piazza l’antirazzismo, l’antifascismo, e comunque una politica che non è quella dell’odio, della rabbia e degli insulti».
Qual è il vostro obiettivo?
«Cerchiamo di fare dei richiami alla politica. Abbiamo messo in evidenza il vuoto che sino a pochi giorni fa non era evidente, ma esisteva: è questo il motivo per cui tante persone sono scese in piazza e scendono nelle piazze. Ci aspettiamo che le soluzioni e i programmi li faccia la politica. Non dobbiamo esser noi Sardine a dare risposte».
Spesso venite criticati di mancanza di concretezza e di poco pragmatismo. Se da un lato ribadite che debba essere la politica a rispondere alle domande, perché non rivolgete alla politica domande più specifiche e che toccano il quotidiano delle persone che scendono anche in piazza con voi?
«Sì, ci hanno “accusato” di non avere valori specifici riguardo a tematiche attuali come il lavoro, la sanità, i diritti civili. Ci stanno tutti a cuore, in realtà. Ma il lavoro che stiamo portando avanti noi è a monte».
«Chiediamo alla politica di tornare a dibattere su questi temi in maniera più concreta e seria. Siamo stanchi di sentire il dibattito che non entra mai in questi temi, ma scivola nell’insulto, nelle accuse reciproche e svicola dagli argomenti importanti. Noi chiediamo maggiore concretezza e maggiore serietà alla politica, ed è quello che chiediamo in questa prima fase».
E questa è la prima fase. E la seconda?
«Per adesso siamo concentrati sugli eventi, sulle regionali dell’Emilia-Romagna e siamo comunque contenti di aver avuto un impatto così grande. La seconda fase ve la racconteremo quando capiremo cosa fare da grandi (ride, ndr)».
Foto copertina: Corriere.it
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