Bloccate sei barche per la guardia costiera libica. No, non succede in Italia
La società civile blocca la consegna di sei imbarcazioni – sei vedette di 12 metri, alla guardia costiera libica. No, non accade in Italia, ma in Francia.
Sei barche veloci con scafo semirigido, prodotte dalla società francese Sillinger, lunghe 12 metri e – secondo le informazioni pubbliche disponibili – fornite senza armi né supporto per armamenti, non arriveranno mai in Libia dalla Francia. Lo ha deciso il governo guidato dal premier Édouard Philippe, bloccando di fatto la consegna, prevista da mesi, a seguito di un ricorso presentato da otto tra associazioni e ong.
Amnesty International France, ASGI, Groupe d’Information de Soutien des Immigré.e.s, La Cimade, La Ligue des Droits de l’Homme, Médecins Sans Frontières, Migreurop e Avocats sans Frontières France hanno infatti trascinato in tribunale il governo francese ad aprile «per impedire la consegna, annunciata nel febbraio 2019». «Esistono seri dubbi sulla legittimità della consegna», spiegava Msf.
E per la giustizia francese hanno ragione: è la stessa Florence Parly, ministre des Armées, ad annunciare in queste ore la decisione dell’esecutivo. «Queste pressioni legali e pubbliche hanno indotto il governo a cedere», dice Msf Francia in una nota. «Non proseguirà, quindi, una cooperazione che avrebbe dotato la guardia costiera dei mezzi logistici per riportare i migranti in quello stesso paese in cui sono soggetti alle peggiori forme di abuso»: la Libia.
«Questa rinuncia è soprattutto una vittoria per uomini, donne e bambini che queste vedette avrebbero riportato in un paese dove corrono il rischio di essere nuovamente detenuti, torturati, violentati». Le associazioni accolgono «con favore l’abbandono di questa iniziativa, che avrebbe reso la Francia ufficialmente complice dei crimini commessi su migranti e rifugiati in Libia», dice ancora la ong. «Denunciamo, da diversi anni, le conseguenze della cooperazione tra i paesi dell’Unione europea e la Libia per le persone intrappolate in un vero inferno».
L’ultimo salvataggio di cui la guardia costiera libica dà conto sulla sua pagina Facebook risale al 29 novembre scorso, quando sostiene di aver salvato 205 migranti, di cui 158 uomini, 33 donne, 14 bambini. In totale sarebbero quasi 40mila i migranti e rifugiati intercettati nella Sar che la Libia ha dichiarato a giugno 2018: zona di ricerca e soccorso sotto il controllo di Tripoli ma, secondo le indagini della procura di Agrigento, di fatto gestita dagli italiani e dalla Marina militare nostrana.
I libici, ricorda Medici senza frontiere, sono accusati di avere più volte «messo in pericolo la vita e la sicurezza dei rifugiati e dei migranti in mare. Spingendo le persone in difficoltà nell’acqua, minacciandole con le armi, addirittura sparando colpi di pistola». E poi i casi – documentati dalle immagini – di minacce agli equipaggi delle navi umanitarie impegnate nelle attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale.
Nous nous félicitons de l’abandon de cette initiative qui aurait fait de la France la complice officielle des crimes commis sur les personnes migrantes et réfugiées en #Libye. https://t.co/RvBJx9j3Hg
— MSF France (@MSF_france) December 2, 2019
Il blocco delle consegne delle sei imbarcazioni, comunque, per le associazioni non basta. «Dobbiamo esigere che la Francia imponga condizioni rigorose a tutta la cooperazione bilaterale ed europea con la Libia, affinché i diritti e la sicurezza dei migranti e dei rifugiati siano garantiti e rispettati».
Con ultimatum che però i paesi europei sembrano oggi ben lontani dal considerare: «Fino a quando le persone verranno detenute in Libia in condizioni disumane, la Francia e gli altri paesi europei devono rinunciare a qualsiasi forma di collaborazione che può avere come effetto il trattenere o riportare migranti e rifugiati in Libia». Un paese che – si ricorda poco spesso – da aprile è peraltro, di nuovo, teatro di una guerra civile.
E l’Italia?
Alla Libia di motovedette ne sono comunque arrivate negli ultimi tempi dall’Europa. Non dai cugini francesi, ma da rubinetti italiani. E non sei, ma dieci.
Accadeva esattamente un mese fa, a inizio novembre. Erano i tempi in cui si parlava del memorandum Italia-Libia, e della contestata decisione del governo italiano di rinnovare l’accordo per i prossimi tre anni, seppur con la richiesta di modifiche – la cui efficacia sarà tutta da dimostrare e raggiungere – in ottica di rispetto dei diritti umani.
La cerimonia di consegna delle motovedette si è tenuta il 2 novembre scorso a Tripoli, nella base di Abu Sitta: l’arrivo delle imbarcazioni era stato annunciato dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Segue più o meno la stessa scia di quanto accaduto in Francia, l’iniziativa in Italia dell’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: il ricorso, davanti al Consiglio di Stato, «contro l’utilizzo dei soldi del Fondo Africa utilizzati per rimettere in efficienza le motovedette date alla Libia». L’udienza è prevista per aprile 2020.
Il punto è che i migranti intercettati dalla guardia costiera libica sono nella stragrande maggioranza dei casi ritenuti dalle autorità di Tripoli “illegali” e perciò rinchiusi nei centri di detenzione. Quegli stessi centri dove subiscono, a detta delle organizzazioni internazionali, trattamenti inumani e degradanti. «Uomini, donne e bambini che non solo subiscono trattamenti inumani e degradanti, ma rischiano di morire sotto le bombe in un paese in guerra», ricorda Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.
E i centri di detenzione, governativi e non, sono ora nel mirino della Corte penale internazionale dell’Aja con nuovi mandati d’arresto contro trafficanti di essere umani. Un’iniziativa che chiama in causa anche quei governi europei, Italia in testa, che supportano il sistema libico.
In copertina Guardia Costiera Libica/Facebook
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