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Caos Libia, l’avvertimento dell’Onu: «Senza pace arriverà un’ondata di migranti»

07 Dicembre 2019 - 16:17 Angela Gennaro
Nel frattempo il controverso accordo sulla delimitazione dei confini marittimi tra Turchia e Libia «è stato inviato alla Nazioni Unite», annuncia Erdogan

La Libia e il conflitto che – di nuovo – la devasta sono al centro degli incontri diplomatici della Conferenza MED – Mediterranean Dialogues, organizzata a Roma dalla Farnesina insieme all’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale e oggi alla sua giornata conclusiva.

L’avvertimento – all’Italia e all’Europa tutta – è chiaro: l’alternativa a una Libia di pace e prosperità «è orribile», e se non cesserà il conflitto «temo un bagno di sangue a Tripoli, temo un grande movimento migratorio di popolazioni, ci saranno masse di sfollati che ricadranno in tutti i Paesi vicini, come Niger, Algeria, Tunisia, Sudan, e temo che andremo ad aggiungere punti controversi a una lista su cui già le grandi potenze non si trovano d’accordo».

Le parole di Salamé

A fare la lista dei punti critici è l’inviato speciale Onu per la Libia, Ghassan Salamé, nel suo intervento ai Med Dialogues.

«Gli interessi perseguiti da molti di quelli che interferiscono negli affari interni libici possono essere soddisfatti grazie a una Libia libera, prosperosa e pacifica, più che dal conflitto», dice Salamè. «Se si mira al petrolio, a fermare la migrazione e a stabilizzare le situazioni commerciali nel Mediterraneo, tutto questo passa da una Libia in pace e prosperità. Il Paese ha i mezzi e la ricchezza per accontentare tutti quelli che cercano di dividersi le sue ricchezze», dice.

«Se ancora ci sta a cuore qualche livello di sicurezza collettiva al mondo e un minimo d’intesa sul contenimento dei conflitti locali, dobbiamo agire. Se non facciamo questo in Libia, vista la posizione strategica del Paese, avremo
grattacapi tutti, non solo i Paesi vicini».

Tunisia e Algeria

Sui migranti «spero che in Tunisia e Algeria si possano concludere processi politici così che noi possiamo riprendere contatti con il governo tunisino per arrivare a nuove soluzioni per gestire i flussi», risponde oggi Di Maio incontrando la stampa estera alla Farnesina.

«Il tema della Libia non è solo quello dei migranti, ma è un rischio terrorismo elevato poche centinaia di chilometri dalle nostre coste».

Negoziati in vista

«Dopo il cessate fuoco, chi sarà coinvolto in questi negoziati, dovrà deciderlo il popolo e non penso che sia una cosa impossibile» il coinvolgimento del generale Khalifa Haftar in questi negoziati, spiega Mohamed Taher Siala, ministero degli Esteri del governo di accordo nazionale libico, nel suo intervento ai Med Dialogues. Quello stesso generale che «Io devo essere aperto a tutti gli interlocutori. Forse ci potrebbero essere negoziati diretti e indiretti, ma una soluzione si trova sempre. Si potrebbe iniziare con negoziati indiretti, poi diretti. Innanzitutto, cominciamo a porre fine alla guerra», spiega Syala.

Da otto mesi il generale ribelle Khalifa Haftar, signore della guerra della Cirenaica e appoggiato da Egitto e Russia, sta cercando di rovesciare il governo che l’Onu ha insediato a Tripoli quattro anni fa e che è quello riconosciuto a livello internazionale. «L’Italia è in prima linea nella stabilizzazione della Libia», spiegava in un’intervista al Corriere Luigi Di Maio alla vigilia dei Med Dialogues. Il dossier, per il capo della Farnesina, è tra quelli «prioritari». Per il ministro «non c’è soluzione militare alla crisi libica. Il conflitto attuale ha solo esacerbato l’instabilità, alimentato il terrorismo e aggravato la situazione umanitaria. Abbiamo sempre mantenuto aperti i canali con tutte le parti coinvolte, incluse le tribù del Fezzan, e continueremo a farlo, convinti che solo un dialogo tra libici, sostenuto da una posizione convergente della comunità internazionale, possa condurre a una soluzione durevole».

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio durante il forum ANSA, Roma, 8 novembre 2019. ANSA/Alessandro Di Meo

La Libia «racchiude in sé tutte le contraddizioni del Mediterraneo allargato», dice oggi il capo della diplomazia italiana a Roma. «Il conflitto sta inasprendo la crisi c’è una crisi umanitaria, una crisi che sta contagiando i paesi vicini e tutti in questi giorni mi hanno parlato della cosiddetta ‘proxy war’. Non abbiamo più tempo, dobbiamo accelerare per trovare una soluzione».

Le «interferenze»

Di Maio chiede la fine delle interferenze nell’area: anche di quella russa, per esempio, collaborando («Mosca è un interlocutore chiave») per una soluzione diplomatica sul campo. Per il ministro degli Esteri del governo di accordo nazionale libico, Mohamed Taher Siala, il target è la Francia. «La Germania ci sta aiutando, i problemi vengono da altri paesi, ad esempio la Francia», affonda oggi Siala da Roma. «Ha avuto colonie nel sud della Libia: per la Francia la Libia è strategica e sono presenti nella produzione di petrolio. La Francia è stata gelosa quando è stato costruito l’oleodotto tra Libia e Italia meridionale e non sono felici che la Libia non faccia parte dell’Africa francofona», dice oggi ai Med Dialogues in corso a Roma.

Un affondo che richiama le parole pronunciate oggi dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. «Da ministro dell’Interno abbiamo lavorato per un anno con la Libia e per la Libia e in tre mesi questi l’hanno regalata ai francesi e ai turchi, quindi sarà un problema sia economico che di sicurezza nazionale«», dice il leader della Lega a margine della visita al gazebo del partito per raccogliere le firme contro il Mes a Milano.

«Mi spiace dire che nel sistema internazionale ci sono profonde divisioni che hanno impedito al Consiglio di Sicurezza Onu di chiedere un cessate il fuoco», dice oggi l’inviato speciale Onu per la Libia, Ghassan Salamé. «E dall’inizio di questa guerra, il livello interferenze esterne in Libia è aumentato in modi diversi, allineamenti diplomatici, armi, sostegno tecnico e approvvigionamento».

Una parte «fa più affidamento di altri ad aiuti esterni, tuttavia non possiamo permettere che questo accada all’infinito», è il ragionamento. «Ho dedicato tutte le mie energie per mettere insieme libici e concentrarci sul processo nazionale». Salamé ricorda che «il Consiglio di Sicurezza si
è riunito 15 volte dall’inizio della guerra, ma non siamo stati in grado di far uscire un appello per il cessate fuoco, per questo stiamo cercando di ottenere questo tramite altri mezzi».

E la Turchia?

Nel frattempo il controverso accordo sulla delimitazione dei confini marittimi tra Turchia e Libia «è stato inviato alla Nazioni Unite», annuncia – secondo quanto scrive l’Ansa, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, dopo la ratifica giovedì sera da parte del Parlamento e la pubblicazione stamani sulla Gazzetta ufficiale di Ankara.

«Useremo fino in fondo le nostre prerogative derivanti dal diritto della navigazione e dal diritto internazionale», dice Erdogan durante una riunione del suo Akp a Istanbul.

Il memorandum d’intesa, firmato il 27 novembre a Istanbul dal presidente Recep Tayyip Erdogan con il premier del governo di Accordo nazionale libico (Gna) riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Sarraj, estende il controllo di Ankara su ampie porzioni del Mediterraneo orientale – comprese zone cruciali per possibili estrazioni di idrocarburi offshore – che sono rivendicate anche da Grecia e Cipro. Il patto è fortemente avversato anche dall’Egitto e dal sedicente Esercito nazionale libico (Lna), guidato da Haftar.

In copertina il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a destra, riceve a Palazzo Chigi l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Ghassan Salamè, Roma, 6 dicembre 2019. ANSA/Filippo Attili/US Palazzo Chigi

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