M5S, Di Maio nella morsa delle correnti grilline. Quali sono e quanto pesano
Il governo giallorosso, nato da appena tre mesi, sembra già replicare il quotidiano stillicidio di contrapposizioni, fra le forze che lo sostengono, del precedente esecutivo. In questa fase però, più che la volontà di far prevalere le proprie ragioni identitarie, sono le dialettiche interne a mettere a rischio quell’equilibrio necessario a far convivere partiti e movimenti che negli ultimi anni se le sono date di santa ragione su quasi tutti i temi.
Ad alimentare un clima già incandescente ci ha pensato anche la tensione interna al M5s, con la posizione del capo politico Luigi Di Maio messa in discussione mai con così tanta chiarezza. La fronda interna, di cui si parla da tempo, fino ad oggi non era riuscita a produrre una vera e propria frattura. Adesso però ha fatto sentire la sua voce, secondo quanto riferisce la Repubblica, ma confermato anche a Open, accerchiando il capo politico che, per ora, può contare sulla fiducia di Grillo, ma che comincia a sentirsi nel bunker.
Di Maio ha minizzato: «Su 320 parlamentari ce ne sono una decina spaventati quando alzo la voce, io non rinuncio alle nostre battaglie perché qualcuno è spaventato», ha detto il ministro a proposito delle indiscrezioni su un documento di sfiducia pronto contro di lui. Insomma, per il ministro degli Esteri si tratterebbe di uno sparuto numero di malpancisti preoccupato più di far rimanere in piedi il governo a ogni costo che delle battaglie ideali, come Mes e riforma della prescrizione, del Movimento.
Ma secondo quanto è riuscito a ricostruire Open la situazione sarebbe diversa. In queste ultime settimane l’autorità e l’influenza di Di Maio sarebbero crollate all’interno dei gruppi parlamentari e soprattutto fra i capigruppo. Il documento di sfiducia nei confronti del capo politico sarebbe l’extrema ratio: ma sembra di capire che i coordinatori degli stessi gruppi non farebbero fatica a farlo sottoscrivere a una parte consistente dei parlamentari pentastellati.
Ciò che frena i dissidenti da mettere in atto nero su bianco la proposta di destituzione sono due fattori non trascurabili: il primo, come detto, è il rinnovo dell’investitura a Di Maio da parte del fondatore del Movimento Beppe Grillo, che però si dice abbia apprezzato poco il cannoneggiamento al governo dopo la sua benedizione, pur nel suo linguaggio immaginifico, dell’alleanza nel campo del centrosinistra.
Il secondo elemento che trattiene la fronda dalla resa dei conti con il capo politico, a cui eletti ed elettori imputano tra le altre cose il crollo dei consensi, sarebbe la sua successione. La frase di Di Maio di pochi giorni fa («Sappiate che dopo di me c’è solo Di Battista») è sembrata a quasi tutti una minaccia e un avvertimento: nessuna delle fazioni in campo è in grado di sostituirlo e se dovesse cadere la guida andrebbe al più mediaticamente visibili degli esponenti pentastellati.
Le fazioni in campo
Una minaccia perché è arcinoto che Di Battista non abbia digerito l’alleanza con il Partito Democratico e se “il Dibba” dovesse sostituire Di Maio l’alleanza giallorossa probabilmente avrebbe le ore contate. L’ex vicepremier gioca quindi la partita del dividi et impera, cercando di alzare la tensione nell’esecutivo anche per evitare che le varie fazioni si alleino contro di lui. Ma, come vedremo, potrebbe rivelarsi un boomerang.
Ma quali sono queste fazioni e quanto pesano, soprattutto nei numeri parlamentari? Al vertice c’è Di Maio con i suoi, come si diceva sempre più accerchiati e indeboliti. Poi ci sono Fico e i fichiani, l’ala sinistra del Movimento: agguerriti, ma non numerosissimi e soprattutto azzoppati dal fatto di aver un leader alla presidenza di Montecitorio e considerato troppo radicale per i “gusti” della maggioranza della base.
Poi c’è il gruppo che fa riferimento a Giuseppe Conte. È da quest’area che potrebbero arrivare le sorprese. Con Conte a Palazzo Chigi la guida della fronda contiana sarebbe stata affidata a Stefano Panuanelli: il ministro dello Sviluppo è apprezzato per il suo lavoro e per i suoi modi anche dalle altre forze parlamentari e i feedback dalla base parrebbero positivi.
Fonti ben informate riferiscono a Open che l’insofferenza nei confronti Di Maio sarebbe in stato così avanzato che, in caso di elezioni anticipate, i contiani, guidati da Patuanelli, sarebbero pronti a lasciare il Movimento per costituire una lista autonoma: una specie di Lista Civica con il premier nel ruolo che fu del senatore Monti.
Oltre ai fedelissimi del capo politico, i fichiani e i contiani fra gli schierati ci sono ancora (pochi) seguaci di Di Battista, che però nella partita sembrano più giocare da riserva armata del ministro degli Esteri. In ultimo esiste il gruppo eterogeneo di chi non è stato riconfermato nei ruoli di governo, che in caso di bisogno non andrà certamente in soccorso di Di Maio.
La maggioranza (per ora) silenziosa dei non schierati
Ma, sempre secondo quanto è riuscito a ricostruire Open, la maggioranza (per ora) silenziosa dei parlamentari pentastellati sarebbe rappresentata da coloro che non si schierano apertamente, ma che sono uniti dal desiderio che la legislatura non muoia. E che quindi cominciano a manifestare irritazione nei confronti del leader per i quotidiani attentati alla sopravvivenza del governo.
Proprio perché quest’ultimo gruppo è numeroso e eterodosso è difficile tracciare una mappa con pesi precisi delle varie “correnti”: la situazione è fluida e in divenire. Quello che è certo è che Di Maio fa oggi fatica a controllare la maggioranza dei gruppi. E ciò che oggi appare come un’entropia, come quella di cui Grillo ha parlato nel suo intervento con al fianco l’ex vicepremier, rischia di travolgerlo se troverà un’ordine e un’organizzazione.
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