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Vita da freelance, se il lavoro diventa una prigione: «Lavoriamo soli e senza la certezza di un salario» – L’intervista

08 Dicembre 2019 - 13:30 Giada Ferraglioni
Ansia, burnout, depressione: quali sono le conseguenze psicologiche dell'essere lavoratori autonomi?

«Ho un’ansia terribile. Per la maggior parte del tempo. Sono un video editor, un fotografo, un grafico, e ora sto realizzando il mio primo documentario. Ho appena guardato nel mio conto in banca e ci sono solo 5 euro. Più altri 40 in contanti». Quella di u/hitchknocker – nickname di un utente di Reddit – è solo una delle innumerevoli storie di freelance che si trovano online digitando le parole «freelance anxiety» (ansia da freelance). Il titolo del suo thread non lascia spazio a interpretazioni: Ansia e lavoro da freelance: come rovinare la tua vita.

In Italia e nel mondo, dove il modello della gig-economy è diventato ormai la prima incarnazione del lavoro autonomo, i liberi professionisti (si pensi alle start-up) hanno molto poco di “libero”. L’incertezza della paga (soprattutto del quando arriverà), spinge i freelance a dover cercare e seguire più clienti contemporaneamente, senza la possibilità di potersi mai realmente emancipare dal proprio lavoro.

Senza orari stabiliti e all’insegna della flessibilità, le conseguenze psicologiche dei ritmi di produzione sono sempre più insostenibili. «Incontro giornalmente persone che hanno una serie di problematiche relative allo stress lavoro-collegato, che prevede una serie di psicopatologie che sempre di più colpiscono i freelance», ha detto a Open Angelo Salvi, psicologo del lavoro, consulente e attivista di Acta in rete (Associazione italiana dei freelance).

Nuove precarietà

«Io stesso sono freelance, nonostante l’albo, essendo un libero professionista», spiega Salvi. Il disagio lavorativo è dovuto a diversi fattori: la solitudine del lavoro, derivata dalla frammentarietà della categoria, è certamente una di queste, seguita dall’incertezza sui tempi di pagamento.

«Al freelance non spaventa tanto la precarietà», dice Salvi. «Il libero professionista solitamente non ricerca la stabilità di un impiego. Diverso è invece il discorso sui tempi di pagamento: con la crisi economica, i tempi di retribuzione si sono allungati diventando indefiniti».

Markus Spiske su Unsplash

Un’instabilità diversa, quindi, che porta a disagi diversi da quelli del precariato classico (che può essere l’incertezza di una riconferma contrattuale o un impiego a tempo determinato). Chi è freelance non può permettersi di progettare nulla: da un semplice weekend libero, a un pranzo con la famiglia, fino al giorno in cui pagare l’affitto.

Solitudine

«Oltre al piano economico, legato in larga misura alla crisi economica», spiega ancora Salvi, «ci sono altri elementi, più connaturati nella professione stessa. Su tutti c’è il lavorare da soli».

La tematica della solitudine del freelance è, infatti, antica come l’invenzione del libero professionista. Negli ultimi anni, alcuni di loro sono riusciti a organizzarsi negli spazi di co-working sempre più presenti nelle diverse città d’Italia. Strutture che, però, raramente sono pubbliche: spesso le cifre per affittare una scrivania superano le 150 a settimana.

«Anche in questo caso, comunque, la situazione è disomogenea», sottolinea Salvi. «Ci sono gli informatici che lavora davvero da soli, ma ci sono freelance come me che lavorano a contatto con il pubblico, o che magari si occupano di formazione, dove il disagio è sentito molto meno. Il tema della solitudine è molto relativa al tipo di impiego».

Lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7

Al contrario della solitudine, un elemento trasversale a tutti i lavoratori autonomi è lo stare dietro a molti clienti. «È un tema molto diffuso», spiega ancora Salvi. «Per lavorare e mantenere i contatti bisogna avere delle buone relazioni con tutti i clienti e consolidarle quotidianamente».

Essere sempre disponibili e gentili è causa di un forte stress per chi lavora: «bisogna sorridere, mediare, ascoltare. Essere accoglienti, gentili, estremamente educati. Le relazioni sono il 50% degli strumenti attraverso cui si trova lavoro».

Marvin Meyer su Unsplash

«I clienti, con tutte le loro istanze e le loro continue domande, possono essere molto complessi da gestire psicologicamente», dice Salvi. «Loro la prima cosa che vogliono è essere ascoltati, e il freelance non può sottrarsi, perché è parte integrante del loro lavoro».

Flessibilità non è libertà

Si arriva poi a un altro elemento, che rende paradossale l’espressione free-lance: la totale assenza di tempo libero. «Un problema enorme di chi è a metà tra l’essere lavoratore autonomo e l’ essere imprenditore di una start-up è la mole di lavoro».

L’idea che la flessibilità lavorativa corrisponda a maggior tempo per sé è, secondo Salvi, una falsa narrazione. «Poter lavorare a qualsiasi ora diventa una prigione. Non avendo orari definiti, i clienti, che sono molto diversificati tra loro, sanno che possono contattarti a qualsiasi ora del giorno».

Da questo punto di vista, le battaglie per un maggior life-work balance (bilanciamento tra vita privata e lavoro) sono ancora molto giovani rispetto a quelle portate avanti dai lavoratori dipendenti. Il lavoratore freelance è una figura relativamente giovane, esplosa in pieno regime neoliberale – un sistema che ha permesso all’impostazione “più ore di lavoro si fanno, più soldi si portano a casa” di non avere nessuna regola.

«Il tempo di lavoro diventa pervasivo, e le persone iniziano a identificarsi totalmente con la loro professione», insiste Salvi. «Tutto il resto della loro vita non ha più cittadinanza, dalle relazioni alle passioni».

Una deregolamentazione dei ritmi di lavoro dei freelance porta spesso alla conseguenza più estrema: l’abbandono dell’attività imprenditoriale autonoma o dei propri progetti originali. «Non è raro che i lavoratori autonomi rimettano in discussione le proprie scelte. Ci si butta sulla cosa totalmente opposta: si è talmente consumati che si vuole più sapere niente di lavoro adeguato alle proprie competenze. Arrivano a dire: “voglio fare un lavoro strumentale e lasciar perdere tutto”».

Andrew Neel su Unsplash

L’unica soluzione

«O i freelance si coalizzano, anche in maniera semplice, organizzandosi con le tariffe da stabile, oppure vigerà per sempre il divide et impera», spiega Salvi. «Se nel campo vige solo la competizione, se non ci instaurano sinergie con gli altri lavoratori, sarà sempre più difficile che un modello del genere sia psicologicamente sostenibile».

In merito al creare una sinergia, esistono già alcune associazioni che stanno cercando di intervenire per eliminare la componente di solitudine e di incertezza sui tempi salariali. «Tra queste in Europa c’è Smart (già ascoltata da Open, ndR). In America, invece, esistono zone in cui l’assistenza è addirittura pubblica: c’è lo stato di New York che si prende l’impegno di pagare direttamente i freelance, facendosi poi carico di chiedere ai clienti di essere pagati».

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