Diventare avvocati in Italia: un percorso tortuoso e (ormai) poco appetibile
Stando all’ultima fotografia disponibile, ovvero quella relativa all’anno accademico 2018/2019, le discipline giuridiche hanno smesso di essere tra le più ambite dagli universitari italiani. A dirlo sono sia i dati AlmaLaurea, sia i feedback del mercato del lavoro: da entrambi emergono, infatti, tutte le difficoltà di un impianto imperniato quasi interamente sulla laurea quinquennale a ciclo unico con corsi che non sembrano tenere conto delle nuove esigenze professionali emerse sul mercato.
Il calo nelle immatricolazioni
Da circa dieci anni gli immatricolati alla quinquennale in Giurisprudenza e alla triennale in Scienze giuridiche continuano a scendere: se nell’anno accademico 2008/2009 erano il 10,5% di tutte le matricole iscritte all’università, oggi sono il 6,9%. Un calo che ha ripercussioni anche sul numero di iscritti totali – che dieci anni fa era il 10,5% del totale e oggi, secondo l’ultima rilevazione, è all’8,4% – e sulla fine del percorso, con i fuori corso stabilmente sopra il 30% degli iscritti e con un numero di laureati di appena 6,1% del totale.
Il difficile inserimento nel mondo del lavoro
A fronte di numeri che testimoniano un’oggettiva difficoltà del percorso giuridico universitario, la situazione per i laureati che entrano nel mondo del lavoro non pare essere più rosea. Secondo un focus di AlmaLaurea che analizza le performance dei laureati di secondo livello del 2013 che, a cinque anni dalla laurea, dichiarano di svolgere la professione di avvocato, l’entrata nel mercato del lavoro è spesso posticipata rispetto ai colleghi di altre facoltà: l’84,5% ci riesce solo dopo essersi laureato – 69,9% è la media per gli altri – e la prima occupazione arriva in media a 22,5 mesi dalla laurea – il doppio rispetto ai laureati di secondo livello delle altre facoltà.
Va detto che non sono tutte cattive notizie, quelle che emergono dal report di AlmaLaurea. Di tutti i laureati di secondo livello che svolgono la professione di avvocato dopo cinque anni dalla laurea, il 59% è composto da donne, contro ogni stereotipo legato alla professione. L’ottimismo, però, dura finché non si scopre che il 38,5% del campione proviene da una famiglia di laureati – un dato che, paragonato al 30,6% complessivo, sottolinea ancora una volta il carattere elitario di un percorso di studi lungo e, per questo, ancora non alla portata di tutti.
Mancanza di specializzazione e scarso adeguamento alle esigenze del mercato
Alla durata superiore alla media del percorso universitario, non è detto corrisponda una maggiore preparazione all’inserimento nel mercato. Se è infatti vero che la facoltà di Giurisprudenza, per come è concepita in Italia, è una delle più complete da un punto di vista storico e filosofico, è altrettanto vero che la specializzazione è totalmente demandata ai master post lauream.
La mancata possibilità di approfondire verticalmente un dato settore, unitamente all’adeguamento ancora troppo lento dei piani di studio alle nuove esigenze professionali emerse sul campo – dalla blockchain alla privacy, passando per i reati ambientali – hanno delle ripercussioni per chi trova lavoro dopo la laurea: nel 98,9% dei casi si tratta di un impiego nel settore privato, spesso esercitato come libero professionista (l’89,3% contro il 21,1% della media), con una retribuzione netta mensile che, in media, non supera i 1.200 euro – contro i 1.459 totali.
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