Grigio Natale: quanto inquinano le festività
Ogni anno, gli italiani celebrano il Natale buttando via tonnellate di cibo, plastica ed energia. Con un giro d’affari di 10 miliardi di euro secondo Codacons, il Natale è diventato un’enorme operazione di marketing che costa cara all’ambiente.
Con l’arrivo delle vacanze, delle luminarie e dell’allegria, i livelli di PM10, PM2.5, No2, ozono, benzene Co ed So2 nell’aria italiana raddoppiano. Basta guardare un qualsiasi bollettino della qualità dell’aria di una città italiana per accorgersene.
Oltre all’intensificazione dei viaggi in macchina dalla nonna, i principali responsabili dell’inquinamento natalizio sono la sovraproduzione alimentare e l’accelerazione della catena della grande distribuzione.
Le vestigia del suo valore culturale e tradizionale risparmiano al Natale la sorte del Black Friday, preso di mira dagli ambientalisti di tutto il mondo. Ma se Extinction Rebellion ha risparmiato le luminarie cittadine, gli effetti collaterali di queste festività non vanno comunque sottovalutati.
Le cene di Natale: acerrimo nemico dell’ambiente
Cinquecentomila tonnellate: il cibo che buttiamo via a Natale pesa come cinque transatlantici. Lo rivelano gli analisti di Ener2Crowd. Durante le festività ogni famiglia spende in media 80 euro in cibo che finisce nel cestino. Questo fa aumentare esponenzialmente i livelli di inquinamento, «perché ogni tonnellata di rifiuti alimentari produce 4,2 tonnellate di CO2» spiegano gli esperti.
L’esagerazione natalizia costa a questo pianeta quanto una macchina che percorre la circonferenza terrestre più di cinquemiladuecentocinquanta volte. Non trascurabile anche lo spreco idrico: come segnala l’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/Swg, frutta, verdura e ortaggi che non raggiungeranno mai gli stomaci dei cittadini sono stati irrigati con enormi quantità d’acqua.
Gli abeti veri sono più verdi di quelli finti
I più inesperti crederanno che comprare un albero di Natale di plastica risparmi le foreste norvegesi. In realtà, salvo un impegno a conservare lo stesso albero industriale per più di vent’anni, gli abeti naturali sono più ecologici di quelli in plastica.
Gli alberi finti causano infatti una duplice emissione di anidride carbonica: sia quando vengono prodotti che quando vengono trasportati. Il trasporto degli abeti, per la maggior parte prodotti in Cina, rappresenta una grande porzione delle emissioni inquinanti coinvolte. Spesso invece gli alberi veri, cresciuti poco lontano dal luogo in cui vengono acquistati, assorbono per mesi anidride carbonica invece che emetterla.
Lo fa notare Clint Springer, botanico della Saint Joseph’s University di Philadelphia intervistato da the Verge, che spiega che spesso questi alberi vengono piantati espressamente per essere poi tagliati e che dopo il loro utilizzo ne vengono piantati di nuovi. Questi, oltre ad assorbire anidride carbonica, diventano spesso per mesi habitat per uccelli o insetti.
Gli alberi finti invece fanno bene all’ambiente solo se li si possiede già da due decadi. Lo rivela uno studio del 2009, che spiega che la produzione di questi oggetti richiede circa 20 chili di petrolio e causa il rilascio di circa 23 chili di biossido di carbonio. Per avere effetti positivi in termini di emissioni di anidride carbonica, utilizzo di risorse naturali e impatto sulla salute umana, un albero in plastica dovrebbe essere utilizzato per almeno 20 anni.
Un altro grande colpevole: i maglioni natalizi
Oltre a essere un crimine estetico, i maglioni natalizi rappresentano spesso anche un ingente danno per l’ambiente. Secondo un recente studio pubblicato dall’ong inglese Hubbub, il 95% di questi indumenti sono fatti di plastica e sono «uno dei peggiori esempi di fast fashion».
La produzione altamente inquinante di questi indumenti è ancor più grave dal momento in cui in circa la metà dei casi i maglioni vengono comprati per poi essere utilizzati pochissimo. Tra gli under 35, uno su tre compra un nuovo maglione natalizio ogni anni e quasi la metà degli indumenti (2/5) vengono utilizzati solo una volta.
Le carta regalo
Nonostante si stimi che lo spreco causato dai regali sia molto elevato, non esistono numeri su quanti kit bagnoschiuma-shampoo allo zucchero a velo finiscano impolverati in un cassetto. Rimane però indiscusso il fatto che il famoso «riciclo» dei regali faccia bene all’ambiente.
Quando rifilate alla zia il cactus ricevuto al Secret Santa aziendale, dovreste però cercare di riutilizzare la stessa carta con cui era stato impacchettato la prima volta. Non esistono dati italiani sul tema, ma gli inglesi gettano ogni Natale circa 83 chilometri quadrati di carta da regalo, secondo l’Independent. Abbastanza per impacchettare le isole di Ischia, Lampedusa e la Maddalena.
Secondo Greenpeace, ogni chilo di carta regalo è responsabile dell’emissione di 3.5 chili di CO2 e per produrlo servono 1.3 chili di carbone. Lo stesso vale per le cartoline, oggetti sempre più spesso prestampati e raramente simbolici: ogni anno ne viene venduto (e in molti casi buttato) un miliardo.
Se il maestro di scuola inglese che ha impedito ai bambini di inviare biglietti d’auguri perché «inquinavano troppo» è forse un po’ radicale, la bolla commerciale gonfiata intorno al Natale è sicuramente incompatibile con la lotta al cambiamento climatico.
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