La coltivazione domestica di cannabis in minime quantità non è un reato. E lo dice la Cassazione
Con una sentenza del 19 dicembre la Corte di Cassazione ha deliberato che coltivare la cannabis in minime quantità in casa e per uso personale non costruirà più reato.
«Non costituiscono reato – si legge nella sentenza – le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
Sino a questa sentenza la legislazione affermava che «la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti» era da considerarsi «pericolosa, in quanto idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga». Ma la pronuncia del 19 dicembre segna un’inversione di rotta.
Le reazioni della politica
Immediate le reazioni della politica. «Ancora una volta la giurisprudenza fa le veci di un legislatore vigliacco. La Cassazione ha aperto la strada, ora tocca a noi», ha commentato il senatore M5s Matteo Mantero su Facebook.
«Fino a questa storica sentenza – prosegue Mantero – comprare Cannabis dallo spacciatore, alimentando la criminalità e mettendo a rischio la propria salute con prodotti dubbi, non costituiva reato penale mentre coltivare alcune piante sul proprio balcone per uso personale poteva costare il carcere».
Anche il segretario di +Europa, Benedetto Della vedova, ha accolto con entusiasmo la sentenza: «La svolta positiva della Cassazione sulla liceità della coltivazione domestica della cannabis è piena di ragionevolezza. Si rompe un tabù. Ora andiamo avanti: con la cannabis legale avremmo più sicurezza e miliardi per lo Stato sottratti alla criminalità».
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