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Cibo italiano e orecchiette pugliesi sotto attacco? No! Ecco cosa è successo

30 Dicembre 2019 - 17:14 David Puente
La cosiddetta «Guerra delle orecchiette» non esiste e il caso è nato per colpa di un ristorante

Il 28 dicembre 2019 Matteo Salvini ha pubblicato un tweet dove sostiene, dopo il caso Nutri-score e il video di Silvia Sardone, che il cibo italiano sia sotto attacco e in questo caso le orecchiette pugliesi:

Ma roba da matti. Per qualcuno le orecchiette pugliesi fatte in casa potrebbero essere pericolose per la salute perché “gli ingredienti non sono traccabili”….. Però insetti e vermi vanno bene.

Il tweet di Salvini.

Il video condiviso da Salvini riprende il servizio del programma televisivo Fuori dal coro di Mario Giordano dal titolo «Il cibo italiano sotto attacco» accompagnato dalla frase «Vogliono uccidere la pasta – in pericolo le orecchiette di Bari».

Il servizio andato in onda durante il programma Fuori dal coro e usato successivamente da Salvini.

La vicenda di Bari

Il servizio del programma televisivo è datato 17 dicembre 2019, ma la vicenda era stata raccontata da Repubblica in un articolo del 21 novembre 2019 dal titolo «Mano dura contro le orecchiette fatte a mano a Bari vecchia: sequestrate perché senza etichetta»:

Nel locale i militari della guardia di finanza erano arrivati per un controllo sul rispetto del permesso dell’occupazione di suolo pubblico, ma hanno esteso le verifiche anche all’interno dove hanno trovato tre chili di orecchiette prodotte artigianalmente e non tracciate.

L’operazione della Guardia di Finanza – secondo BariToday erano intervenuti gli agenti del Nucleo Annona della Polizia Locale – aveva scoperto che le orecchiette acquistate dal ristorante provenivano da una delle signore della città vecchia che le producono nelle proprie abitazioni e dunque priva di tracciabilità dei prodotti alimentari imposta per legge. Il locale venne sanzionato per non aver rispettato il regolamento relativo all’occupazione di suolo pubblico, mentre le orecchiette vennero distrutte.

L’articolo del New York Times

Il servizio cita l’articolo del New York Times del 7 dicembre 2019 dal titolo «Call It a Crime of Pasta» di Jason Horowitz, che a sua volta cita l’articolo di Repubblica:

L’articolo del New York Times.

Nell’articolo leggiamo che le donne che producono in casa le famose orecchiette a Bari, precisamente della strada Arco Basso nella città vecchia, non guadagnano molto e temono di dover indossare le retine per i capelli, emettere fattura e pagare le tasse. Le stesse, dopo le polemiche relative al caso del locale dove sono state distrutte le orecchiette prodotte da una di loro, avevano minacciato una protesta nel caso le forze dell’ordine avessero fatto dei controlli e le avessero multate.

Legalità e legalità

Nell’articolo del New York Times leggiamo che «è legale vendere piccoli sacchetti per uso personale» ma la vendita ai ristoranti, che a loro volta li cucinano per i clienti, è ben altra cosa e non sono autorizzate a farlo.

Il momento in cui il servizio di Fuori dal coro cita l’articolo del New York Times.

Il servizio di Fuori dal Coro cita l’articolo di Jason Horowitz e del New York Times senza però riportare questo elemento della storia che dovrebbe tranquillizzare le signore intervistate nel continuare a vendere i loro prodotti fatti in casa ai turisti, come ormai da tradizione. Tuttavia, l’articolo non cita il regolamento da poter consultare.

Il Regolamento europeo e l’etichettatura

In merito alla tracciabilità, questa permette a chiunque di poter vigilare sul prodotto che acquista e dovrebbe essere un punto di forza per chi sostiene l’economia locale sui prodotti tipici e del Made in Italy. Si sta poco a dire che il prodotto delle signore della via delle orecchiette sia a «chilometro zero», o a «metro zero» come sostiene qualcuno, e che gli acquirenti possono osservare la loro preparazione. Dunque? Chi ha ragione?

In mancanza della citazione di un regolamento all’interno dell’articolo del New York Times proviamo a leggere il Regolamento (UE) n. 1169/2011 – citato nel caso di Bari da La Gazzetta del Mezzogiorno – partendo dall’articolo 9 dove è presente l’elenco delle indicazioni obbligatorie nei prodotti in vendita:

Conformemente agli articoli da 10 a 35 e fatte salve le eccezioni previste nel presente capo, sono obbligatorie le seguenti indicazioni:

a) la denominazione dell’alimento;

b) l’elenco degli ingredienti;

c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II [n.d.r. del regolamento] o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata;

d) la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;

e) la quantità netta dell’alimento;

f) il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;

g) le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;

h) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1;

i) il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26;

j) le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;

k) per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;

l) una dichiarazione nutrizionale.

All’articolo 16 del regolamento, intitolato «Omissione di alcune indicazioni obbligatorie», leggiamo:

Fatte salve altre disposizioni dell’Unione che prevedono una dichiarazione nutrizionale obbligatoria, la dichiarazione di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera l), non è obbligatoria per gli alimenti elencati all’allegato V.

Cosa dice l’allegato V del regolamento europeo? Riporta l’elenco degli alimenti ai quali non si applica l’obbligo, tra questi:

  • i prodotti non trasformati che comprendono un solo ingrediente o una sola categoria di ingredienti;
  • gli alimenti, anche confezionati in maniera artigianale, forniti direttamente dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consumatore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono direttamente al consumatore finale.

Questo ultimo punto dovrebbe farci pensare che nel caso delle donne di via delle orecchiette a Bari non dovrebbero porre l’etichettatura e la tracciabilità.

La tracciabilità per la Lega

Nel sito della Lega troviamo un articolo del 2010 dal titolo «Tracciabilità totale per difendere i nostri prodotti» con le dichiarazioni di Luca Zaia, all’epoca ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali:

Quella di Verona e’ la perla dell’agricoltura veneta, che nel complesso conta circa 150mila aziende agricole, una delle agricolture trainanti d’Italia con un fatturato che sfiora i sei miliardi di euro. Nella sola provincia di Verona le imprese del settore agricolo e agroalimentare registrate alle camere di commercio sono quasi ventimila. E’ nostra intenzione salvaguardare e promuovere questo patrimonio, contro la crisi dei campi che si e’ verificata nell’ultimo periodo.

[…]

Uno strumento per rilanciare il settore – ha detto il Ministro – è sicuramente quello della tracciabilità totale dei prodotti, per difendere la nostra agricoltura identitaria, e la qualità che essa produce, dalla concorrenza sleale proveniente dall’estero, da Paesi che non hanno un’agricoltura avanzata come la nostra ed esercitano un vero e proprio dumping sociale. Prima di tutto vengono i nostri agricoltori, poi viene il resto del mondo

Non solo, nello stesso articolo leggiamo:

Uno strumento per rilanciare il settore – ha detto il Ministro – è sicuramente quello della tracciabilità totale dei prodotti, per difendere la nostra agricoltura identitaria, e la qualità che essa produce, dalla concorrenza sleale proveniente dall’estero, da Paesi che non hanno un’agricoltura avanzata come la nostra ed esercitano un vero e proprio dumping sociale. Prima di tutto vengono i nostri agricoltori, poi viene il resto del mondo

Gli insetti

Quella di Salvini è una vecchia storia. Il 19 dicembre 2017 aveva dichiarato quanto segue in un post Facebook:

Oggi ho letto che è nato il primo pandoro con FARINA DI INSETTI…! CHE SCHIFO! Se lo mangino quelli del PD che in Europa hanno votato a favore di vermi, scorpioni e tarantole nei nostri piatti! Io preferisco il meraviglioso pane pugliese di Altamura! Lega SEMPRE a difesa della nostra millenaria cultura del buon cibo ITALIANO!

Come spiegato in un articolo di Pagella Politica, dal primo gennaio 2018 entrava in vigore il Regolamento 2015/2283 che prevede l’emissione di nuovi alimenti sul mercato europeo, tra questi anche gli insetti. Chi aveva votato la norma all’epoca? Secondo Salvini il PD è colpevole, ma il giorno del voto – in cui era presente come eurodeputato lo stesso leader della Lega – si era largamente astenuto (117 non votarono, 33 votarono a favore e 24 contro) mentre a votare in formazione completa a favore era stata Forza Italia. In ogni caso nessuno obbliga un produttore a usare gli insetti o sostituire gli ingredienti di un prodotto italiano con quelli derivati dalla lavorazione di una cavalletta.

Le istituzioni contro le orecchiette di via Arco Basso?

Il 22 settembre 2019 lo stesso sindaco di Bari, Antonio Decaro (PD), portò la sindaca di Roma, Virginia Raggi (M5S), a lezione di orecchiette a Bari con le stesse donne del servizio di Fuori dal Coro:

A seguito dello scandalo, già il 23 novembre 2019 aveva difeso la tradizione delle orecchiette: «le orecchiette di Bari vecchia sono sanissime e noi le difenderemo».

Conclusione

Matteo Salvini e il servizio di Fuori dal Coro non spiegano ciò che è successo a Bari, facendo pensare che le donne di strada Arco Basso nella Bari vecchia rischino di veder compromessa la loro tradizione. Il sindaco di Bari e l’amministrazione locale non sono contrari a questa pratica, da loro promossa e conosciuta da anni.

Non c’è alcuna «Guerra delle orecchiette», lo scandalo nasce dal semplice fatto che un ristorante le aveva acquistate da una produttrice locale senza licenza e senza tracciabilità del prodotto per servirle a tavola ai suoi clienti andando contro i regolamenti. A seguito dei controlli è stato sanzionato per altro, mentre le orecchiette rinvenute sono state distrutte. Fino ad oggi, a distanza di un mese, non ci sono stati blocchi o ispezioni alle attività delle donne di Bari vecchia.

Resta il fatto che la questione della tracciabilità consente al consumatore di poter conoscere l’origine del prodotto e difendersi da falsi Made in Italy.

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