Il Parlamento turco approva il piano di Erdogan: sì all’invio di truppe in Libia
Il Parlamento turco ha dato il via libera all’invio di un contingente militare in Libia a sostegno del governo di Tripoli (Gna), con 325 voti a favore e 184 contrari. La Turchia ha ora il permesso formale di inviare un esercito sul territorio libico, con lo scopo di fronteggiare l’avanzata del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, supportato da Egitto, Emirati Arabi, Russia e Arabia Saudita.
#Breaking: Turkey’s parliament has approved the bill allowing deployment of troops to Libya. 325 voted in favour to 184 against.
— Ahval (@ahval_en) January 2, 2020
L’organo repubblicano si è riunito in sessione straordinaria alle 14 del 2 gennaio, in anticipo di cinque giorni rispetto al normale calendario relativo la ripresa dei lavori. L’urgenza, stando alle motivazioni del presidente Recep Tayyip Erdogan, è stata dettata dall’avanzata delle truppe del generale Haftar verso Tripoli, che nelle ultime ore hanno circondato il quartiere di Abu Salim, a meno di dieci chilometri dal centro della città.
Se la città cadesse nelle mani dell’Esercito nazionale libico, la Turchia vedrebbe crollare il governo di Fayez al Sarraj, con il quale Erdgoan ha stretto un accordo lo scorso 27 novembre.
Il sostegno del Parlamento alla mozione del presidente non era mai stata realmente in discussione: la vittoria era garantita grazie ai numeri raggiunti dall’alleanza stretta dal suo partito, l’Akp, con i nazionalisti del Mhp.
Il testo della mozione
Il testo è stato sottoposto al Parlamento lo scorso 30 dicembre. La missione in Libia dovrebbe durare circa un anno, ma nella mozione non vengono forniti dettagli specifici sulle modalità. Probabilmente, l’appoggio militare inizierà con l’invio di consiglieri e attrezzature.
Quel che è specificato, invece, è che l’intervento non deve essere inteso come belligerante: Erdogan ha motivato la sua decisione come una scelta «al fine di garantire un cessate il fuoco, rilanciare un processo politico e favorire un ritorno alla diplomazia». La mossa è presentata come necessaria a bilanciare le forze in campo e stoppare l’avanzata di Haftar.
Il testo fa riferimento anche alla situazione umanitaria in Libia e alla lotta ai «terroristi», che «potrebbero sfruttare la mancanza di stabilità per il traffico di esseri umani e il rafforzamento delle proprie milizie armate». La richiesta di approvare l’intervento all’estero, infatti, può essere avanzata solo in base all’articolo 92 della costituzione turca, che permette al presidente della Repubblica di sottoporre una mozione di questo tipo al Parlamento solo in caso di “rischi e minacce” nei confronti del Paese.
Giustificando la richiesta come necessaria a «prevenire e sventare» tali pericoli, Erdogan ha motivato la richiesta enfatizzando sulla necessità «di prendere tutte le contromisure possibili contro le minacce alla sicurezza della Turchia».
Le opposizioni
Le specifiche presenti nella mozione, che giustificavano l’intervento dei militari turchi «al solo fine di garantire un cessate il fuoco, rilanciare un processo politico e favorire un ritorno alla diplomazia», non hanno convinto le opposizioni.
A votare non è stato l’Hdp, il partito filo-curdo del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, che può contare su 62 parlamentari. L’Hdp è anche l’unico partito schieratosi contro i’intervento militare in Siria, iniziato il 7 ottobre del 2019.
Nei giorni scorsi era arrivato il parere negativo anche dei 139 parlamentari del partito Chp, seguiti in mattinata dagli alleati nazionalisti del partito Iyi, che può contare su 39 deputati. Sia Chp che Iyi avevano votato a favore dell’intervento in Siria contro i curdi dello Ypg (considerati milizie terroristiche da Erdogan).
Türkiye’nin, Libya’da taraflar arasında arabuluculuk yapması doğrudur ama asker göndererek iç savaşın içinde taraf olması yanlıştır. pic.twitter.com/1ntEcoJCRU
— Meral Akşener (@meral_aksener) January 2, 2020
Stavolta, ad aver pesato sul no sono stati i dubbi sull’effettiva capacità (e convenienza) dell’esercito turco di svolgere un’operazione a 2mila km dalla Turchia. Fattore che aveva sollevato perplessità anche nell’opinione pubblica, ma che era stato letto pubblicamente da Erdogan come l’occasione di riequilibrare le forze in campo internazionale e rilanciare un processo politico in difesa degli interessi turchi. Senza mai, oltretutto, presentare la missione in Libia come belligerante.
«Gli scontri favoriscono le azioni di gruppi terroristici come Isis e al Qaeda – si legge nel testo della mozione – e potrebbero causare fuga di civili ed emergenze umanitarie nel mar Mediterraneo». Fattori che, secondo quanto scritto dalla presidenza turca, si prestano a costituire «minacce per la Turchia e la stabilità regionale».
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Fonte foto copertina: crediti Ansa, foto di Will Oliver