Caso Gregoretti, verso il voto in Senato: la strategia di Salvini e i numeri in bilico
Sequestro di persona ai danni di 131 persone, aggravata dall’abuso di potere e dall’aver commesso il fatto a danno di minori. È questa l’accusa che pende su Matteo Salvini, segretario della Lega, per il caso della nave Gregoretti. Accusa per la quale rischierebbe fino a 15 anni di carcere, e per la quale il tribunale di Catania attende solo l’autorizzazione a procedere per l’avvio di un processo.
Il 3 gennaio Salvini ha depositato la sua memoria difensiva alla giunta per le immunità parlamentari dove la discussione inizierà il prossimo 8 gennaio: una selezione di 7 email scambiate tra gli uffici di gabinetto del Viminale e quelli della Farnesina, riguardanti alcuni aggiornamenti sulla redistribuzione su territorio europeo dei migranti.
La strategia
Per Salvini, queste email servirebbero a dimostrare come la decisione di tenere bloccati i migranti per 3 giorni «in condizioni disumane» non fu un’iniziativa personale dell’allora ministro dell’Interno, ma una scelta governo nella sua totalità.
Ma il fatto che il premier Conte avesse iniziato un dialogo con altri Paesi europei per ottenere la disponibilità ad accogliere i migranti, poco ha a che vedere con la decisione (di competenza stretta del Viminale, stando al decreto sicurezza bis) di non autorizzare lo sbarco. Questa la giustificazione di Palazzo Chigi.
Una vicenda, quest’ultima, che aveva convinto il Senato, il 20 marzo del 2019, a negare l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, sottolinea. Allora Giuseppe Conte, al tempo premier del governo gialloverde, blindò Salvini parlando ufficialmente di una scelta collettiva dell’intero esecutivo.
Strategicamente, ora Salvini prova a trascinare la maggioranza nel caso, così da spingerla a negare l’autorizzazione a procedere contro di lui. Dimostrando che «il Viminale ha rispettato il contratto di governo gialloverde», chiamerebbe in causa direttamente – e pubblicamente- le responsabilità di Luigi Di Maio e Conte.
Il voto e i numeri
«Mi arrestino, non me ne può fregare di meno», ha dichiarato qualche giorno fa il segretario leghista. In molti dubitano che Salvini sia davvero tranquillo davanti all’idea di finire in aula: sa benissimo che stavolta il governo in carica non ha nessun interesse a immolarsi sull’altare della Lega.
Tra i banchi della maggioranza, comunque, si respira ancora una certa tensione nella scelta tra il sì o il no per l’autorizzazione. Il voto della Giunta dovrebbe arrivare entro fine mese (la data fissata è il 20 gennaio), quello dell’Aula il prossimo mese, e il tema – è chiaro a tutti – è delicatissimo anche sul piano dei consensi.
Per quanto Conte abbia ripetutamente negato qualsiasi responsabilità di Palazzo Chigi, se Salvini sarà bravo a dimostrare la complicità di chi faceva parte dell’esecutivo sia ora che allora, diventerà difficile per il premier e per il M5s tirarsi indietro dal salvataggio.
Una dichiarazione di intenti è già arrivata, di contro, dai 17 renziani di palazzo Madama: i senatori dell’attuale Italia Viva sono intenzionati ad esprimersi contro di lui – come già accaduto per il caso Diciotti. Lo ha ribadito anche il coordinatore del partito renziano, Ettore Rosato: «Salvini nella sua memoria ci ha spiegato che il caso Gregoretti è identico a quello della Diciotti. Salvini certamente conosce le carte meglio di noi, e se lui dice che i casi sono identici, noi ci comporteremo in modo identico, votando come per la Diciotti a favore dell’autorizzazione al processo contro Salvini»
Stando alle prime previsioni, come ha già scritto Repubblica il 30 dicembre, in Senato, Salvini dovrebbe faticare ad arrivare a 140 voti, e anche alla giunta per le immunità parlamentari potrebbe rimanere indietro con un 13 (1 Pd, 3 Iv, 6 M5S, Grasso per Leu, e i voti di De Falco e Durnwalder) a 10 (5 Lega, 4 Forza Italia, 1 FdI).
La sorte di Salvini a processo avviato
Nel caso in cui si votasse per l’autorizzazione a procedere, Salvini si troverebbe di fronte a un’evidenza: il caso Gregoretti non è identico al caso Diciotti, proprio per via dell’entrata in vigore del suo decreto sicurezza bis.
La nave Gregoretti, carica di persone migranti, è stata bloccata in mare con la motivazione di essere ritenuta offensiva per la sicurezza nazionale, clausola concessa dal decreto di Salvini. Ma, per lo stesso decreto, questo criterio non può essere applicato a navi militari italiane (la Gregoretti è una nave della Guardia Costiera), dato che, in quanto tali, non possono essere considerate una minaccia per la sicurezza del Paese.
Lo stesso decreto sicurezza bis potrebbe essere un boomerang per Salvini anche dal punto di vista delle responsabilità: il decreto stabilisce infatti che il Viminale accentra su di sé le competenze di autorizzazione o meno a entrare nelle acque italiane, depotenziando notevolmente il ruolo del Ministero dei Trasporti.
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