Raid Usa, il capo del Pentagono smentisce Trump: «Non colpiremo siti culturali in Medio Oriente»
Se da un lato Donald Trump continua a twittare minacce all’Iran, che ha annunciato vendetta dopo l’uccisione del generale Soleimani, dall’altro alte cariche istituzionali intervengono per mettere un’argine alla furia del Presidente.
Lo ha fatto il Comitato degli Affari Esteri della Camera che ha ricordato come sia «il Congresso a detenere i poteri militari». Ora anche il capo del Pentagono ha smentito le dichiarazioni di Trump che minacciava di colpire siti culturali in Medio Oriente.
«Abbiamo individuato 52 siti iraniani (che rappresentano i 52 ostaggi americani presi dall’Iran molti anni fa), alcuni di altissimo livello e importanti per l’Iran e la cultura iraniana», aveva twittato Trump facendo scattare l’allarme.
….targeted 52 Iranian sites (representing the 52 American hostages taken by Iran many years ago), some at a very high level & important to Iran & the Iranian culture, and those targets, and Iran itself, WILL BE HIT VERY FAST AND VERY HARD. The USA wants no more threats!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 4, 2020
Poi ha rincarato la dose: «A loro è consentito uccidere, torturare e mutilare la nostra gente e a noi non è consentito toccare i loro siti culturali? Non funziona così». Tanto da costringere l’Unesco a ricordargli che gli Stati Uniti hanno firmato la convenzione per la protezione dei siti culturali.
Ma il capo del Pentagono, Mark Esper, ha smentito l’ipotesi di un attacco. «Gli Usa rispetteranno le leggi dei conflitti armati», ha assicurato Esper. È avvolto dal mistero invece chi abbia diffuso la bozza della lettera che annunciava il ritiro delle truppe Usa in Iraq.
Alcuni media, tra cui France Press e Cnn, sono entrati in possesso di una lettera destinata al vice capo del Comando militare iracheno delle operazioni congiunte, Abdul Amir Yarallah, dal generale William H. Seely, comandante delle operazioni militari statunitensi in Iraq.
Nella missiva si comunicava il riposizionamento delle truppe statunitensi. Riposizionamento poi smentito dallo stesso Mark Esper. La missiva sarebbe stata però autentica, ma era una bozza: inviarla è stato un errore.