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Calabria, migranti ridotti in schiavitù nei campi e donne costrette a prostituirsi: presi 29 caporali

08 Gennaio 2020 - 15:05 Redazione
Imprenditori e caporali sfruttavano diversi braccianti negli agrumeti del reggino. Gli inquirenti hanno documentato anche casi di sfruttamento di prostituzione

18 presunti caporali e 11 imprenditori: sono 29 in tutto le misure cautelari emesse dal Gip del Tribunale di Palmi, su richiesta del procuratore capo Ottavio Sferlazza, nell’ambito di un’indagine contro il caporalato nella Piana di Gioia Tauro.

Le accuse a vario titolo sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope.

13 tra i presunti caporali sono attualmente in carcere (in maggioranza cittadini extracomunitari di origine centrafricana), mentre 7 degli imprenditori agricoli sono ai domiciliari. Gli altri 4 hanno obbligo di dimora, divieto di dimora o obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

I Carabinieri hanno sequestrato 3 attività imprenditoriali, a Polistena, a Rizziconi e a Laureana di Borrello, oltre a 18 beni mobili registrati per un valore di oltre un 1 milione di euro.

Le indagini

Le indagini sono state condotte dalla Stazione Carabinieri di San Ferdinando e dalla Compagnia di Gioia Tauro, col supporto specialistico del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Reggio Calabria.

L’indagine, che prende il nome da Euno, lo schiavo siciliano che nel 136 a.C. guidò la prima guerra servile contro il possidente terriero Damofilo, avrebbe evidenziato come durante la stagione agrumicola 2018-2019 gli indagati reclutavano manodopera straniera, anche irregolarmente.

Alle 5 di ogni mattino, i caporali radunavano i braccianti presso la baraccopoli di San Ferdinando e il campo containers di Rosarno, e li caricavano a bordo minivan e altre autovetture, il più delle volte inadatte alla circolazione su strada e al trasporto di persone.

I caporali li conducevano ai fondi agricoli dove si lavorava 7 giorni su 7, festivi compresi, per 10-12 ore consecutive, con brevi pause tassative e senza alcuno dispositivo di protezione individuale e di tutela della salute.

La paga giornaliera era di circa un euro a cassetta di frutta raccolta, comunque non superiore a somme oscillanti tra 2 e 3 euro per ogni ora di lavoro.

Sono stati documentati anche alcuni episodi di detenzione ai fini di spaccio di marijuana, nonché condotte di favoreggiamento della prostituzione da parte di un cittadino liberiano, che trasportava le donne nigeriane da Rosarno fino alla baraccopoli. Qui, le donne erano costrette a prostituirsi e a cedere poi parte dei guadagni al loro protettore.

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Foto copertina: Immagine d’archivio, Ansa

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