In Evidenza Legge di bilancioOpen ArmsTony Effe
ESTERICrisi Usa - IranDonald TrumpIranMedio OrienteNew York TimesUSA

Crisi Iran-Usa, come è stata evitata una guerra che nessuno voleva. Il retroscena del New York Times

12 Gennaio 2020 - 09:52 Redazione
Non è chiaro se Soleimani stesse effettivamente progettando un attacco alle basi americane. Ma ciò che emerge dal retroscena del quotidiano americano sono soprattutto i tentativi della diplomazia - e dello stesso Trump - di evitare lo scontro diretto

Per circa una settimana il mondo è stato con il fiato sospeso per il timore che, con l’uccisione di Generale Soleimani, capo delle forze Quds dell’Iran, potesse scoppiare un nuovo conflitto mondiale. La giustificazione usata dagli Stati Uniti era che il Generale iraniano stesso progettando un attacco “imminente” di sostanziale portata contro le forze americane. In un lungo articolo il New York Times racconta come ci fosse effettivamente la possibilità – una tra molte – che Soleimani stesse progettando un attacco a basi americane in Iraq e paesi limitrofi, ma che non ci fosse la certezza che l’attacco era effettivamente imminente. A scatenare il conflitto dunque un’azione militare intrapresa con una certa fretta che, come racconta il quotidiano americano, ha rischiato di scatenare una Guerra che è stata evitata per un soffio, grazie anche al contributo della diplomazia svizzera.

Uno scontro nato quasi per sbaglio 

Erano mesi – 18 esattamente – che gli Stati Uniti valutavano se colpire il Generale Soleimani. Il comandante delle forze Quds, considerato il secondo uomo più potente dell’Iran, era diventato il perno della strategia iraniana in Medio Oriente, dei tentativi di Teheran di espandere la sua influenza nell’intera regione anche tramite, come nel caso dell’Iraq, il sostegno dato a milizie sciite. Ma fu soltanto dopo l’attacco di una di queste milizie – Kataib Hezbollah – alla base militare di Kirkuk (in Iraq) il 27 dicembre, in cui morì un civile americano, che il piano di uccidere Soleimani gradualmente si concretizzò.

In vacanza a Mar-a-Lago, il suo resort in Florida, tra una partita di golf e l’altra, Donald Trump ordinò prima un attacco militare contro Kataib Hezbollah, in cui morirono almeno 25 persone. Poi, due giorni dopo – il 31 dicembre – dopo aver visto centinaia di manifestanti prendere d’assalto l’ambasciata americana in Iraq, con il sostengo di Kataib Hezbollah, soltanto in quel momento, mentre il presidente americano vedeva le immagini in televisione, avrebbe autorizzato il colpo contro Soleimani e, insieme a lui, ad Abdul Reza Shahlai, il comandante delle forze Quds nello Yemen. 

Gli intermediari svizzeri e il “piano b” di Trump 

Nonostante i Tweet spavaldi di Donald Trump in cui il presidente americano avvertiva il nemico che gli Stati Uniti non si sarebbero fermati a nulla, dopo l’uccisione di Soleimani la diplomazia americana si mise subito a lavoro, tramite intermediari svizzeri, per cercare di mitigare la risposta iraniana ed evitare un scontro diretto con l’Iran. Il messaggio inviato a Teheran era chiaro: non costringeteci a farvi la Guerra. 

E così è stato. Dopo l’attacco missilistico alla base americana in Iraq – in cui non ci sono stati morti o feriti, nonostante la propaganda iraniana abbia sostenuto il contrario – Teheran fece subito sapere agli Stati Uniti, sempre attraverso gli intermediari svizzeri, che non ci sarebbero state ulteriori rappresaglie. Trump poteva festeggiare: aveva ucciso un generale nemico senza perdere neanche un soldato americano. Non era stato necessario dunque passare al “Piano b” elaborato da Washington, che prevedeva la disattivazione delle centrali a gas e petrolio iraniane tramite un attacco cibernetico.

La diplomazia internazionale al lavoro 

Dopo l’attacco a Soleimani, l’Arabia Saudita, rivale di Teheran – come testimoniano gli attacchi alle petroliere e raffinerie saudite che hanno caratterizzato gli ultimi mesi del 2019 – si mise all’opera per evitare uno scontro diretto tra gli Stati Uniti e l’Iran. Mohammad Bin Salman Al Sa’ud, a capo del governo saudita, mandò d’urgenza suo fratello a Washington D.C. per un incontro con il presidente Trump. Anche le cancellerie europee, frustrate dalla decisione di Trump di tenerle all’oscuro, si sarebbero messe subito al lavoro per evitare lo scontro. La Francia si sarebbe offerta (insieme al Giappone) di agire da intermediario, offerta freddamente respinta dal presidente americano.

Trump non avrebbe avvisato nessuno dei suoi partner strategici della decisione di uccidere Soleimani, con una sola eccezione: il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Ma il Paese europeo che è risultato fondamentale alla risoluzione del conflitto è stata la Svizzera che dalla crisi del 1979 ha sempre agito da intermediario tra gli Stati Uniti e il paese degli Ayatollah. Ore dopo l’attacco a Soleimani, Markus Leitner, ambasciatore svizzero in Iran, si trovava già al ministero degli Affari esteri iraniano per tentare di evitare la Guerra che nessuno sembrava davvero volere. 

Leggi anche:

Articoli di ESTERI più letti