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Libia e crisi Iran-Usa, Di Maio al Senato: «Ruolo dell’Italia centrale. Né cerchiobottismo né ingenuità: ridiamo al Paese il ruolo che merita»

15 Gennaio 2020 - 11:50 Angela Gennaro
Il ministro degli Esteri a palazzo Madama per il punto su Iran, Iraq e Libia

«Il Mediterraneo allargato sta vivendo una fase particolarmente turbolenta soprattutto in Libia, Iran e Iraq», ha detto Luigi Di Maio aprendo l’informativa al Senato sulle crisi internazionali in corso. «L’instabilità diffusa tocca da vicino gli interessi nazionali», ha aggiunto Di Maio sottolineando che «quanto più lì l’Italia sarà unita e compatta tanto più riuscirà a mettere in campo un’efficace azione politica. Nel Mediterraneo non esistono scorciatoie militari che non producono soluzioni sostenibili». «Troppo a lungo l’Europa si è mossa in maniera scoordinata sulla Libia, lasciando spazio ad attori terzi. Ma l’Europa é quella che ha più da perdere con una Libia debole e in guerra», dice Di Maio.

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«Ogni inasprimento sul terreno favorisce solo forme esterne. Il dialogo deve ripartire e per questo sosteniamo con convinzione il processo di Berlino, al momento unica strada percorribile. Ci aspettiamo risultati, a cominciare dalle modalità di attuazione del cessate il fuoco. Domenica tutti gli attori saranno riuniti intorno a un tavolo per rispettare embargo armi». L’Italia «non intende intervenire militarmente nel conflitto e continua ad aderire con rigore all’embargo sulle armi». «Dialoghiamo con il generale Haftar affinché possa rispettare la tregua. Vogliamo il cessate il fuoco e dare impulso a un ruolo più attivo all’Unione europea».

Tutti, rivendica il ministro degli Esteri, «hanno riconosciuto il ruolo fondamentale dell’Italia in questa crisi. L’Italia sarà presente in tutti gli scenari in cui si parlerà di questa crisi». «Abbiamo accolto con favore l’annuncio da parte tedesca della data della Conferenza di Berlino, il 19 gennaio. È una buona notizia», prosegue il capo della Farnesina. «Rappresenta un importante passo in avanti. Se è stato possibile individuare questa data domenica è anche grazie all’incessante lavoro dell’Italia con tutti gli attori di questa complessa crisi. Impegno testimoniato dai ringraziamenti che la Germania ha rivolto all’Italia nell’ultimo Consiglio Affari Esteri straordinario dell’Unione europea dello scorso venerdì, riconoscendo come determinante proprio il lavoro del nostro Paese».

Il Mediterraneo allargato «sta vivendo una fase particolarmente turbolenta soprattutto in Libia, Iran e Iraq», dice Luigi Di Maio nell’informativa al Senato. «L’instabilità diffusa tocca da vicino gli interessi nazionali», ha aggiunto Di Maio sottolineando che «quanto più lì l’Italia sarà unita e compatta tanto più riuscirà a mettere in campo un’efficace azione politica. Nel Mediterraneo non esistono scorciatoie militari che non producono soluzioni sostenibili».

La crisi Usa-Iran

Il ministro passa poi all’altro dossier incandescente della politica internazionale: quello dell’escalation tra Iran e Usa dopo l’uccisione – da parte degli Stati Uniti – di Soleimani e l’attacco a due basi americane in Iraq da parte degli iraniani in risposta. «Dobbiamo lavorare per facilitare il
dialogo tra Washington e Teheran e chiediamo loro un impegno
senza precondizioni” e orientato “al compromesso”», dice il ministro degli Esteri riferendo in Aula al Senato. «Dobbiamo ora lavorare per facilitare sempre più il dialogo fra Washington e Teheran. Proposito ambizioso, ma indispensabile», dice il ministro.

«Abbiamo sempre sostenuto, con convinzione, che l’intesa sul nucleare sia un pilastro dell’architettura di sicurezza regionale e un presidio di non proliferazione. L’unico che abbiamo al momento», dice il capo politico dei 5 Stelle. «Anche per questo abbiamo invitato l’Iran a ripristinare il pieno adempimento dell’intesa. Essenziale, nel cammino di rinnovamento della Coalizione, sarà la plenaria a livello ministeriale, che l’Italia ospiterà in primavera. Intendiamo facilitare un dibattito sul ruolo futuro della Coalizione in Iraq e in Siria, ma anche sulle posizioni dei partner in materia di Foreign Terrorist Fighters e sulla minaccia del terrorismo sul fianco Sud».

«Non si tratta di cerchiobottismo né d’ingenuità», dice Di Maio riferendosi alle crisi sul suo operato e su quello dell’esecutivo sul piano internazionale. «Per puntare a soluzioni politiche e sostenibili occorre giocare in squadra, parlare con una voce unica, agire con equilibrio. Solo così potremo essere credibili ed efficaci. L’Italia l’equilibrio ce l’ha nel dna. In coerenza con la nostra natura e la nostra storia possiamo, insieme, restituire a questo Paese il ruolo che merita».

Il discorso integrale di Di Maio al Senato

«Signora Presidente, gentili Senatrici, gentili Senatori,

Il Mediterraneo allargato sta vivendo una fase particolarmente turbolenta. Le crisi oggi più drammatiche, su cui si appunta l’attenzione internazionale, sono soprattutto in Libia e Iran/Iraq. Ma continuano a preoccuparci anche i conflitti in Siria e Yemen. Nel mentre, in vari Paesi, a cominciare dal Libano, manifestazioni di piazza testimoniano la necessità di dare risposte concrete alle legittime aspirazioni politiche, economiche e sociali di ampi strati della popolazione.

L’instabilità diffusa, soprattutto in questa regione, tocca da vicino gli interessi nazionali italiani. In primis l’interesse per la nostra sicurezza, prima di tutto per scenari che a volte si collocano a poche centinaia di chilometri da noi. Contrasto al terrorismo, gestione dei flussi migratori, tutela dei nostri soldati impegnati in missioni bilaterali o internazionali di formazione, stabilizzazione e pace. A loro, donne e uomini in uniforme, rinnoviamo la nostra profonda gratitudine.

Sicurezza, dicevo, ma anche interessi economici, legati alle forniture energetiche e alla penetrazione delle nostre imprese.

Angela Gennaro/Open

Più in generale, è in gioco lo stesso ruolo geopolitico dell’Italia, nel mare che vogliamo continuare a considerare nostrum. Quanto succede soprattutto nel Mediterraneo ha un impatto diretto sulla vita quotidiana dei nostri cittadini. Quanto più l’Italia sarà unita e compatta di fronte a queste sfide tanto più riuscirà a mettere in campo un’efficace capacità di iniziativa politica e il nostro Paese ribadirà sempre, con forza, che l’unica risposta a questa instabilità è – e deve rimanere – politica. Nel Mediterraneo non esistono scorciatoie militari. La storia di questi ultimi anni ha dimostrato che i conflitti portano solo altri conflitti, innescando spirali distruttive. Certo, l’opzione militare può modificare nell’immediato la realtà sul terreno. Ma non produrre soluzioni sostenibili, capaci di ricreare i presupposti per una prospettiva condivisa di pace e prosperità. È una lezione che abbiamo imparato in Iraq come in Libia. E che dobbiamo tenere bene a mente anche in queste settimane.

È in questo spirito, che ritengo – come sempre – non solo doveroso ma utile condividere qui, in Parlamento, informazioni e considerazioni, concentrandomi sulle due crisi più acute: Libia e Iran/Iraq sulle quali sono stato chiamato a riferire.

Libia

Partiamo dalla Libia. Sono ore e giornate cruciali ed è un bene che questo dibattito si tenga proprio a pochi giorni dalla Conferenza di Berlino, convocata per domenica alle 14. Una Libia sovrana, unita e in pace resta la priorità assoluta per l’Italia e per il Governo italiano, per la nostra sicurezza nazionale e per la stabilità dell’intera regione euro-mediterranea.

L’ulteriore aggravarsi di questa crisi potrebbe comportare ulteriori rischi in termini di minaccia terroristica e immigrazione illegale, prospettive che stiamo scongiurando con ogni sforzo. Il cessate il fuoco – per quanto ancora fragile – è una notizia positiva, perché condizione indispensabile per il dialogo politico. Al riguardo abbiamo accolto con favore l’iniziativa russa per giungere ad un accordo formale tra Serraj e Haftar e abbiamo preso nota della firma dell’accordo da parte dei rappresentanti di Tripoli.

Auspichiamo che possa essere a breve sottoscritto da tutte le altre parti e che nel frattempo la tregua possa reggere sul terreno: una tregua sostanziale.

Il fatto che Haftar non abbia ancora firmato il documento fa capire quanto sia complessa l’equazione libica. E quanto sia importante che tutta la Comunità Internazionale, a cominciare dai partecipanti alla Conferenza di Berlino, possa lavorare su una stessa agenda.

Nel raggiungimento di questo primo, anche se fragile, risultato, l’Italia ha fatto la sua parte. Abbiamo indicato e perseguito l’obiettivo di una tregua coltivando il dialogo ad oltranza con tutte le parti, anche quando in pochi lo ritenevano realistico. Ma la strada è ancora molto lunga e difficile. E richiede un impegno costante e corale: a questo proposito lo sforzo diplomatico di queste ore da parte di Turchia e Russia, che non vede ancora la firma del cessate il fuoco da parte dei due principali attori di questo conflitto, dimostra che nessun paese – da solo – può pensare di risolvere una crisi così complessa. L’intera comunità internazionale è chiamata a lavorare in maniera corale per addivenire ad una conclusione.

In uno scenario in continua evoluzione, abbiamo accolto con favore l’annuncio da parte tedesca della data della Conferenza di Berlino, il 19 gennaio. È una buona notizia. Rappresenta un importante passo in avanti. Se è stato possibile individuare questa data domenica è anche grazie all’incessante lavoro dell’Italia con tutti gli attori di questa complessa crisi. Impegno testimoniato dai ringraziamenti che la Germania ha rivolto all’Italia nell’ultimo Consiglio Affari Esteri straordinario dell’Unione europea dello scorso venerdì, riconoscendo come determinante proprio il lavoro del nostro Paese.

Permettetemi a questo riguardo di fare un passo indietro rispetto al tema del cessate il fuoco per ricordare brevemente il quadro drammatico della crisi libica. Una tregua è particolarmente preziosa, considerate l’escalation degli scontri sul terreno e l’intensificazione della campagna aerea che hanno interessato nelle ultime settimane l’intera area del fronte intorno a Tripoli. Attacchi continui che non hanno risparmiato obiettivi nella capitale, colpendo anche la popolazione civile e la rete infrastrutturale, a cominciare dall’aeroporto di Tripoli-Maitiga, solo da poco nuovamente riaperto.

Particolare rilevanza strategica riveste poi la recente offensiva delle forze di Haftar verso Sirte. Da un lato, potrebbe rafforzarne la presa sulla mezzaluna petrolifera e, dall’altro, rischia di aprire un nuovo fronte ad est della città di Misurata.

In questo scenario drammatico, ricordo in particolare l’efferato attacco condotto la notte del 4 gennaio contro l’Accademia Militare di Tripoli, che ha causato oltre 30 vittime e decine di feriti, anche tra i civili e che l’Italia l’ha immediatamente condannato. Queste azioni hanno aggravato una grave crisi umanitaria e alimentato una pericolosa recrudescenza del conflitto, con il rischio d’innescare uno scontro fuori controllo.

La contrapposizione è aggravata dalle interferenze di attori internazionali e regionali esterni, a sostegno dell’una o dell’altra parte. Da conflitto interno la crisi libica si è trasformata in una guerra per procura. In questo contesto, si collocano i due accordi tra Libia e Turchia in materia di delimitazione marittima e sicurezza e la decisione del Parlamento turco di autorizzare l’invio di propri militari a Tripoli. Iniziative che abbiamo denunciato per gli effetti negativi che hanno avuto su uno scenario già fortemente polarizzato. Al contempo, abbiamo stigmatizzato tutte le forme di ingerenza esterna nel Paese.

Rispetto a questo scenario, nelle settimane scorse, l’azione dell’Italia si è sviluppata in coerenza con 5 linee guida.

Angela Gennaro/Open

La prima: impraticabilità della soluzione militare e ricerca di un cessate il fuoco. Come ho già sottolineato, l’Italia non intende intervenire militarmente nel conflitto e continua ad aderire con rigore all’embargo sulle armi. Ogni inasprimento sul terreno favorisce solo gli interessi di attori esterni, le cui agende differiscono dalle nostre e che non hanno a cuore le stesse nostre esigenze di sicurezza, e di gruppi terroristici. È fondamentale cercare di mantenere il cessate il fuoco e riportare la crisi libica su un binario politico.

Riavvio del processo politico, sotto l’egida ONU. Il dialogo deve ripartire. È questo obiettivo l’obiettivo principale per cui sosteniamo con convinzione il “processo di Berlino”, al momento unica strada percorribile per una soluzione politica alla crisi in Libia. È molto positivo che la Cancelliera Merkel abbia confermato la data del 19 gennaio. Ci aspettiamo risultati, non solo foto opportunity. Dopo la Conferenza, dovremo poi lavorare sui seguiti operativi, a cominciare dalle modalità di attuazione del cessate il fuoco.

Fine di ogni interferenza esterna. La presenza di mercenari stranieri a fianco delle forze del Generale Haftar è un ulteriore fattore di destabilizzazione, così come il più recente arrivo di forze riconducibili alla Turchia a sostegno del Governo di Accordo Nazionale. Queste interferenze devono cessare. Su entrambi i fronti. È per questo che domenica tutti gli attori saranno riuniti intorno al tavolo per impegnarli al pieno rispetto dell’embargo ONU sulle armi.

Quattro. Unità, sovranità e integrità territoriale della Libia. Il nostro obiettivo è avere un Governo stabile, rappresentativo di tutto il Paese, e in grado di: esercitare il monopolio legale della forza; proteggere le frontiere (terrestri e marittime); rispondere alle esigenze più immediate della popolazione; gestire migranti e richiedenti asilo in maniera efficace e nel rispetto dei diritti umani. Una Libia stabile e unita è per noi condizione imprescindibile per contrastare la minaccia terroristica, prevenire flussi migratori illegali, tutelare i nostri interessi energetici.

Cinque: inclusività. L’Italia sostiene il Governo di Accordo Nazionale guidato dal Presidente al-Serraj, quale istituzione legittima della Libia riconosciuta dalle Nazioni Unite.

Ma allo stesso tempo, in virtù del tradizionale approccio inclusivo e nella convinzione che solo un dialogo costruttivo tra tutte le parti possa portare a una soluzione condivisa, manteniamo intensa l’interlocuzione anche con i rappresentanti di altre realtà importanti della Tripolitania (Misurata in primis), della Cirenaica e del Fezzan.

In particolare, dialoghiamo con il Generale Haftar affinché possa rispettare la tregua e accettare il processo politico.

È sulla base di queste linee guida che si è articolato il lavoro del Governo in queste ultime settimane. Sin dal mio ritorno dalla missione in Libia del 17 dicembre scorso, la nostra azione ha mirato a 3 obiettivi immediati:

raggiungimento di un cessate il fuoco;

sostegno politico alla preparazione della Conferenza di Berlino;

impulso ad un ruolo più attivo e visibile dell’Unione Europea, al fine di favorire la convocazione e il successo della Conferenza di Berlino, ma soprattutto di contribuire ad assicurarne i seguiti.

Proprio per dare vigore al ruolo dell’Unione europea, abbiamo promosso un’iniziativa congiunta con i Ministri di Francia, Germania e Regno Unito e l’Alto Rappresentante dell’Unione Borrell in data 7 gennaio. A causa del deteriorarsi della situazione di sicurezza nel Paese abbiamo deciso di riunirci a Bruxelles, aprendo dunque la strada alla visita che l’indomani il Presidente Serraj ha svolto a Bruxelles per incontrare l’Alto Rappresentante Borrell, il Presidente del Consiglio Europeo Michel e quello del Parlamento Europeo Sassoli.

Uno sviluppo molto positivo. Troppo a lungo l’Europa si è mossa in maniera scoordinata sulla Libia, consentendo ad attori terzi di occupare gli spazi lasciati liberi. E questa è una dinamica che va contrastata con decisione. Gli europei sono quelli che più hanno da perdere da una Libia instabile e più da guadagnare da un Paese sicuro e prospero. Tocca a noi europei evitare che la Libia rimanga ostaggio di una competizione geopolitica tra attori anche lontani e, quindi, meno esposti alle conseguenze dell’instabilità.
In occasione del Consiglio Affari Esteri straordinario di venerdì scorso, l’Italia ha inoltre promosso una riflessione sulle modalità e gli strumenti più efficaci per contribuire concretamente alla realizzazione degli obiettivi della Conferenza di Berlino.

In particolare: monitoraggio del cessate il fuoco, attuazione dell’embargo sulle armi, riforma del settore sicurezza anche attraverso la costituzione di forze armate professionali e sostegno alle necessarie riforme economiche.
L’Unione europea, anche su impulso italiano, ha avviato una riflessione per una missione europea di monitoraggio del cessate il fuoco, naturalmente su espressa richiesta dei libici e in un quadro di legalità internazionale sancito dalle Nazioni Unite.

Sarebbe un passo importante per fermare le interferenze esterne, impedire il massacro di civili e dare all’Unione europea un profilo unitario e un ruolo di primario piano nella crisi libica. Nelle ultime settimane, abbiamo continuato – in coordinamento con l’azione svolta dal Presidente Conte – ad avere numerosi contatti con i ministri degli Esteri dei Paesi più direttamente interessati al dossier libico: Stati Uniti, Russia, Turchia, Francia, Regno Unito, Germania, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Egitto.

Lo scorso 7 gennaio ho incontrato a Istanbul il collega turco Ciavusoglu e il giorno seguente ho partecipato ad una riunione al Cairo di alcuni paesi interessata alla situazione nel Mediterraneo orientale con i Ministri di Egitto, Francia, Grecia e Cipro. Era importante che l’Italia ci fosse.

L’Italia in quella sede non ha sottoscritto la dichiarazione conclusiva perché troppo sbilanciata contro la Turchia e Serraj. La forza sta nell’equilibrio. Ai nostri interlocutori abbiamo ribadito l’urgente necessità che cessino tutte le interferenze esterne e che ogni sforzo sia diretto a sostenere la Conferenza di Berlino.

In questa logica si colloca la proposta, che ho avanzato al mio omologo turco e russo – e l’hanno accolta – di lavorare insieme ad un tavolo trilaterale Italia, Russia, Turchia per la Libia. Tutti hanno riconosciuto il ruolo fondamentale dell’Italia a sostegno di una soluzione politica della crisi libica e per facilitare la realizzazione della Conferenza di Berlino. Costanti anche i contatti del Governo italiano con tutte le parti libiche. Soprattutto i colloqui che il Presidente del Consiglio ha avuto a Roma con Haftar e Serraj. Conto di continuare a incontrare altri esponenti libici nei prossimi giorni.

Prosegue, infine, la nostra azione per valorizzare il ruolo dei Paesi vicini della Libia, attraverso un loro coinvolgimento attivo, a partire dal Processo di Berlino e dai suoi meccanismi di attuazione. Dopo la riunione che avevamo promosso a margine dei Med Dialogues con tutti i paesi confinanti il 6 dicembre a Roma, più di recente abbiamo avuto incontri in Algeria lo scorso 9 gennaio e lunedì in Tunisia: insieme al Marocco, partner strategici nella regione che possono dare un contributo costruttivo.

Grazie al nostro lavoro, l’Italia è stata e sarà presente in tutti i formati in cui verranno assunte decisioni relative allo scenario libico:
abbiamo dialogato con i paesi confinanti con la Libia per coinvolgerli attivamente nei lavori della Conferenza di Berlino. È bene tener presente che questi paesi hanno un ruolo cruciale per la Libia, in quanto hanno influenze determinanti su molte delle comunità libiche;
l’invito della settimana scorsa, da parte dell’Egitto al Cairo, per una riunione di alcuni paesi interessati al Mediterraneo orientale, è stato fondamentale per stabilire un clima di dialogo in vista della conferenza di Berlino e ci ha visto ancora presenti;
l’avvio di una consultazione trilaterale con Russia e Turchia circa la questione libica, conferma il ruolo centrale che ora viene nuovamente riconosciuto all’Italia;
abbiamo promosso il coordinamento dell’Unione Europea al suo interno per affrontare questo dossier con una sola voce e, dunque, con lo scopo di ridurre le divisioni interne, divisioni che in passato hanno inevitabilmente inciso anche sul ruolo dell’Italia.

Insomma, possiamo dire di aver lavorato nelle ultime settimane per essere presenti a tutti i principali tavoli di confronto sulla Libia. Questo ci permetterà di favorire il dialogo tra le parti coinvolte e, soprattutto, di tutelare i nostri interessi nazionali.

Crisi Iran – Usa

Veniamo allo scenario iraniano e iracheno. Come in Libia, anche nel Golfo permane il rischio preoccupante di una escalation che avrebbe effetti devastanti per l’intera regione. Dopo una serie di attacchi e provocazioni, il botta e risposta tra Stati Uniti e Iran – con l’uccisione, presso l’aeroporto di Baghdad, del Generale iraniano Soleimanì e il grave attacco iraniano a due basi irachene che ospitano militari della Coalizione anti-Daesh dell’8 gennaio – ha generato fortissime tensioni.
L’Iraq ha aspramente criticato le circostanze nelle quali il Generale Soleimani ha trovato la morte. L’ondata emotiva è stata alla base dell’approvazione di una mozione parlamentare (appoggiata dal Primo Ministro e votata in assenza dall’aula di sunniti e curdi) che impegna l’Esecutivo a revocare la richiesta di assistenza alla Coalizione Internazionale per combattere Daesh e a porre fine alla presenza di truppe straniere in territorio iracheno.

Nella valutazione dei fatti e delle loro conseguenze, il Governo italiano si è mosso a livello di Unione Europea, Coalizione e bilaterale. E ha privilegiato quattro direttrici d’azione:

  • contenere le tensioni e favorire un dialogo fra e con gli attori più direttamente interessati;
  • assicurare la tutela dei nostri militari impegnati sul terreno;
  • sostenere gli sforzi di contrasto a Daesh nel quadro della Coalizione internazionale;
  • confermare la necessità di dare piena attuazione all’intesa sul nucleare (JCPOA).

Sul primo fronte, il contenimento delle tensioni e la promozione del dialogo, abbiamo immediatamente espresso preoccupazione per degenerazioni pericolose del quadro di sicurezza e condannato l’attacco a postazioni irachene che ospitano i contingenti della Coalizione, con tre distinte prese di posizione. Pressoché unanime è stata la voce dei partner europei, che come noi hanno emesso dichiarazioni.

Abbiamo poi proceduto a mirati contatti bilaterali. Il Presidente del Consiglio ha avuto conversazioni telefoniche con il Presidente iracheno Salih (che sarà in vista a Roma nei prossimi giorni), con il presidente iraniano Rouhanì e con il Principe Ereditario emiratino Mohammed bin Zayed. Per parte mia ho avuto vari colloqui con i partner regionali che ho fortemente incoraggiato a rifuggire da ogni ulteriore azione che possa accrescere le tensioni.

Anche a livello di Unione europea, in occasione del Consiglio Affari Esteri straordinario di venerdì, abbiamo convenuto sulla necessità che l’Unione trasmetta un messaggio forte, e al più alto livello, agli attori interessati affinché contribuiscano alla distensione.

Dobbiamo ora lavorare per facilitare sempre più il dialogo fra Washington e Teheran. Proposito ambizioso, ma indispensabile.

Cogliamo con interesse la dichiarata volontà americana e iraniana di avviare un percorso che eviti un’escalation e permetta una graduale apertura di canali d’interlocuzione. All’Iran e agli Stati Uniti chiediamo un impegno senza precondizioni e orientato al compromesso.
In secondo luogo, gli episodi che, in rapida successione, si sono verificati a cavallo della fine dell’anno ci hanno imposto un’attenta verifica delle condizioni di sicurezza per i nostri militari impegnati in Iraq nel quadro della Coalizione anti-Daesh, ma anche della missione europea (EUAM Iraq) e della missione NATO (NMI). Il Governo considera prioritario garantire la loro incolumità.

Continuiamo il confronto con gli altri Paesi della Coalizione sul futuro della missione. Abbiamo trasferito parte dei contingenti in luoghi più sicuri e spostato temporaneamente alcune unità in Kuwait. Parallelamente, la Coalizione ha deciso di sospendere alcune attività e rafforzare i dispositivi di sicurezza presso le basi. Continuiamo a lavorare con i nostri partner internazionali perché siano messe in atto tutte le forme di tutela che l’evolversi della situazione sul terreno richieda.

La Coalizione internazionale per il contrasto a Daesh – e vengo al terzo pilastro della nostra azione – rimane strumento fondamentale. Non solo per contrastare l’insorgenza o la rivitalizzazione di gruppi terroristici ed eversivi, ma anche per il futuro dell’Iraq: in termini di sicurezza, indotto economico, formazione e ricostruzione.
Non abbiamo elementi per chiarire se e quando l’Esecutivo iracheno darà seguito alla mozione dell’Assemblea parlamentare, anche perché il Governo è dimissionario. Riteniamo però che, nel rispetto della sovranità irachena e a fronte di adeguate garanzie di sicurezza, è opportuno che l’impegno contro il terrorismo possa continuare.

La riflessione sul futuro della Coalizione proseguirà nelle prossime settimane. Prenderemo parte ad un approfondimento previsto a Copenaghen il 29 gennaio a livello di Direttori Politici dei Ministeri degli Esteri.

Essenziale, nel cammino di rinnovamento della Coalizione, sarà la plenaria a livello ministeriale, che l’Italia ospiterà in primavera. Intendiamo facilitare un dibattito sul ruolo futuro della Coalizione in Iraq e in Siria, ma anche sulle posizioni dei partner in materia di Foreign Terrorist Fighters e sulla minaccia del terrorismo sul fianco Sud.

Quarto asse portante della nostra strategia è il sostegno all’intesa sul nucleare, il JCPOA. Contestualmente ai gravi eventi in Iraq, Teheran ha annunciato un nuovo passo indietro nell’attuazione dell’intesa, svincolandosi dalle limitazioni relative all’arricchimento dell’uranio. Ha comunque confermato che si tratta di azioni reversibili, rinnovando la disponibilità a collaborare con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.

Le Autorità di Teheran ritengono che, a fronte di un loro impegno a rispettare gli obblighi derivanti dall’intesa, le altre parti firmatarie, e in particolare l’Unione Europea, non abbiano assicurato i vantaggi economici e le facilitazioni promesse con l’accordo.

Abbiamo sempre sostenuto, con convinzione, che l’intesa sul nucleare sia un pilastro dell’architettura di sicurezza regionale e un presidio di non proliferazione. L’unico che abbiamo al momento. Anche per questo abbiamo invitato l’Iran a ripristinare il pieno adempimento dell’intesa.

Questo è stato il messaggio che abbiamo concordato fra Ministri degli Esteri dell’Unione Europea e che continuerà a ispirare la nostra azione. L’accordo sul nucleare come sapete vive una stagione difficile, ma la sua sopravvivenza non può essere messa in discussione. I Paesi E3 (i paesi dell’Unione Europea che sono parte dell’accordo nucleare: Germania, Francia, Regno Unito) hanno annunciato il 14 gennaio l’attivazione dei meccanismi di risoluzione delle controversie che l’accordo prevede. Meccanismi che non hanno scopo punitivo, ma sono un’ulteriore occasione di confronto e dialogo con Teheran.

L’Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera supervisionerà l’esercizio. Auspichiamo che l’Iran ne colga la natura cooperativa. Permettetemi di ricordare che la decisione di non far parte del gruppo di gestione dell’accordo nucleare risale a circa 17 anni fa. L’Italia non siede nell’E3 per una decisione di 17 anni fa. Pur tuttavia, sono costretto a precisare quanto erroneamente riportato in questi giorni circa la non informazione all’Italia dell’attacco al Generale Soulemainì. Tale informativa, infatti, c’è stata dai più alti livelli del Dipartimento di Stato americano nelle ore immediatamente successive all’attacco e inevitabilmente subito dopo quella svolta proprio ai paesi dell’E3 e in ogni caso sono stati avvisati ad attacco avvenuto.

La vicenda dell’aereo ucraino abbattuto a Teheran in fase di decollo con 176 passeggeri a bordo ha scatenato nuove manifestazioni di piazza. Tra le vittime dell’abbattimento, ben 57 sarebbero canadesi. Ho avuto ripetuti contatti con il mio omologo di Ottawa, in quanto come Italia rappresentiamo in Iran gli interessi del Canada.

La leadership iraniana che, con le folle oceaniche dei funerali del Generale Solemainì, aveva ostentato una compattezza della propria popolazione ispirata dall’orgoglio nazionalistico, si ritrova adesso sul banco degli imputati per aver ammesso la responsabilità dell’abbattimento dell’aereo con ben tre giorni di ritardo. Chiediamo a Teheran che venga fatta piena luce su quanto è accaduto e si agisca nei confronti dei responsabili. In questo senso vi è l’impegno del Ministro degli Esteri iraniano Zarif. Anche considerando questa nuova tensione, lasciare aperti canali d’interlocuzione con l’Iran resta per noi fondamentale.

Stiamo lavorando per intensificare le occasioni di contatti bilaterali con controparti iraniane, dapprima a livello tecnico e, poi, politico. Va ricostruita un’agenda bilaterale con Teheran, che tenga conto del contesto generale e dei nostri interessi, nella consapevolezza che esistono scelte politiche iraniane che non condividiamo. Mi riferisco al trasferimento di tecnologia missilistica ad attori non statali, ad attività che mettono a rischio la stabilità della regione, a violazioni nel campo dei diritti umani.
Stiamo al contempo intensificando la cooperazione e il dialogo bilaterale anche con i Paesi arabi del Golfo (Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar), con i quali condividiamo l’esigenza di una stabilizzazione dell’area, a tutela dei nostri interessi economici, oltre che securitari.

In conclusione, ho cercato di riassumere il lavoro condotto finora, i principi che l’hanno ispirato, la strategia per l’azione futura. Seguiremo con attenzione il dibattito. Sull’onda di queste ultime crisi internazionali, molte sono state le critiche e le analisi sul ruolo dell’Europa e dell’Italia. Le critiche sono, naturalmente, legittime. In alcuni casi utili, ma solo se fondate. Non c’è dubbio che l’emergere di attori geopolitici esterni, a scapito dei Paesi europei, sia stato favorito da inerzie, divisioni e spazi vuoti, anche dell’Unione Europea.

Passi avanti sono stati realizzati. L’Italia ha dato un contributo importante. E potrà continuare a farlo se sulle polemiche di corto respiro prevarrà una visione lungimirante e condivisa. In politica estera dobbiamo essere uniti. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Controproducente sarebbe affrontare le crisi tentando di tradurne la complessità con la ricetta semplicistica dello schierarsi con l’uno o con l’altro. La soluzione, – per noi e per l’Europa – sta nel contrario.

Non si tratta di cerchiobottismo né d’ingenuità. Per puntare a soluzioni politiche e sostenibili occorre giocare in squadra, parlare con una voce unica, agire con equilibrio. Solo così potremo essere credibili ed efficaci. L’Italia l’equilibrio ce l’ha nel dna. In coerenza con la nostra natura e la nostra storia possiamo, insieme, restituire a questo Paese il ruolo che merita».

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