Mafia, decapitati clan di Messina: 94 arresti per truffe all’Ue. C’è anche il sindaco di Tortorici
I carabinieri del Ros e la Guardia di Finanza hanno arrestato 94 persone nel corso del più imponente blitz mai messo a segno contro i clan mafiosi messinesi dei Nebrodi. Oltre 600 i militari coinvolti nell’operazione che è stata coordinata dalla Dda di Messina, guidata dal procuratore Maurizio de Lucia. L’inchiesta ha portato anche al sequestro di 150 imprese. Decapitati i clan mafiosi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo.
Gli indagati
Gli indagati sono in tutto 194: delle 94 misure emesse 48 sono provvedimenti di custodia cautelare in carcere, le altre di arresti domiciliari. In cella sono finiti i vertici delle famiglie mafiose dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, gregari, estortori e “colonnelli” dei due clan storici dei Nebrodi.
In manette il sindaco di Tortorici
In cella anche il sindaco di Tortorici Emanuele Sardo Galati, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Da responsabile di uno dei Centri Commerciali Agricoli coinvolti nell’inchiesta avrebbe consentito ai clan la commissione di una serie di truffe all’Ue.
Le accuse
Le accuse sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa aggravata, intestazione fittizia di beni, estorsione, traffico di droga. L’indagine coinvolge anche imprenditori e professionisti insospettabili come un notaio accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Le truffe sui fondi Ue
I clan avevano puntato ai fondi dell’Unione europea destinati all’agricoltura. Sarebbero almeno 5,5 milioni di euro quelli incassati indebitamente, mettendo a segno centinaia di truffe all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l’ente che eroga i finanziamenti stanziati dall’Ue ai produttori agricoli.
A fiutare l’affare milionario sono stati i clan storici di Tortorici, paese dei Nebrodi, i Batanesi e i Bontempo Scavo, che, anche grazie all’aiuto di un notaio compiacente e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei per l’agricoltura, hanno incassato fiumi di denaro.
I due clan, invece di farsi la guerra, si sono alleati, spartendosi virtualmente gli appezzamenti di terreno, in larghissime aree della Sicilia e anche al di fuori dalla regione, necessari per le richieste di sovvenzioni.
In questo modo, mette nero su bianco il Gip, avrebbe «inquinato l’economia legale e privato di ingenti risorse pubbliche gli operatori onesti». La truffa si basava sulla individuazione di terreni “liberi” (quelli, cioè, per i quali non erano state presentate domande di contributi).
Come funzionava
A segnalare gli appezzamenti utili spesso erano i dipendenti dei CCA che avevano accesso alle banche dati. La disponibilità dei terreni da indicare era ottenuta o imponendo ai proprietari reali di stipulare falsi contratti di affitto con prestanomi dei mafiosi o attraverso atti notarili falsi. Sulla base della finta disponibilità delle particelle, veniva istruita da funzionari complici la pratica per richiedere le somme che poi venivano accreditate al richiedente prestanome dei boss, spesso su conti esteri.
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