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L’Italia invierà altri militari in Libia? Che età avrebbero e a quali rischi andrebbero incontro

16 Gennaio 2020 - 06:51 Giada Ferraglioni
Giovani, altamente operativi e fortemente motivati. E, secondo il presidente dell'Osservatorio Militare Domenico Leggiero, esposti ai rischi dell'uranio impoverito

«Non vi è alcuno spazio per una soluzione militare». Le parole del presidente del consiglio Giuseppe Conte sembrerebbero non lasciare spazio a equivoci: da parte dell’Italia, non esiste alcuna ipotesi in campo che preveda un rafforzamento delle truppe già presenti in territorio libico.

La sicurezza nella mediazione diplomatica di Conte sembrerebbe granitica. «Serve una sostenibile soluzione politica sotto l’egida dell’Onu», ha ripetuto al termine dell’incontro con il premier dei Paesi Bassi Mark Rutte.

A smussare la posizione di Conte – e quindi del governo italiano – erano state le dichiarazioni del ministro della Difesa Lorenzo Guerini. «La Difesa è pronta – aveva detto nella mattinata del 15 gennaio – ad essere protagonista in Libia in relazione agli esiti della Conferenza di Berlino, e ad assumere una responsabilità importante in una regione fondamentale, la cui stabilizzazione non può prescindere dal nostro sforzo».

Brigata San Marco, addestramento delle forze speciali libiche. Crediti: Ministero della Difesa

Benché, secondo Conte, parlare di una modifica della Miasit ( la Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia) sarebbe prematuro, tra gli ambienti dell’Unione europea starebbe già circolando l’ipotesi di una revisione (e quindi un incremento) del contingente.

Stando a quanto ipotizzato dal sito AnalisiDifesa, sul breve periodo è probabile che si pensi a un cambio di ruolo per i 250 militari (perlopiù della Folgore) schierati attualmente a Misurata e impegnati in una missione di sostegno e supporto alle autorità libiche, ufficialmente riconosciute durante le azioni per la stabilizzazione del Paese. In altre parole, quelle del Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj – attualmente sostenuto dall’Italia.

Irrobustendo il contingente, i militari potrebbero servire per il pattugliamento e monitoraggio del cessate il fuoco (stabilito dagli accordi di Mosca e Turchia, attualmente firmati solo da al-Sarraj ma non da Haftar) tra Tripoli, Misurata e le aree periferiche di Sirte.

Open ha chiesto a Domenico Leggiero, presidente dell’Osservatorio militare, di ragionare – in via ipotetica – su chi potrebbero essere gli ulteriori militari in partenza per la Libia e su quali sarebbero i rischi a cui andrebbero incontro.

Che cos’è la Miasit

Ma in cosa consiste la Miasit, la Missione italiana attualmente in atto in Libia, che blocca quasi 300 soldati tra la roccaforte di al-Sarraj e l’avanzata di Haftar? Si tratta di un contingente – di massimo 400 militari e 130 mezzi terrestri, navali e aerei – impegnato a fornire assistenza e supporto al Governo di Accordo Nazionale libico.

Tra questi, ci sono sia i contingenti di Misurata che offrono assistenza sanitaria e formativa, sia personale della Marina che opera in assistenza alla sedicente Guardia Costiera libica nel porto di Abu Sitta. La missione di Misurata prevede anche un ospedale per l’assistenza sanitaria dei combattenti.

La struttura mista è frutto di una riconfigurazione recente: nella Miasit, infatti, sono confluite sia le attività di supporto sanitario e umanitario previste dall’operazione Ippocrate (terminata il 31 dicembre 2017), sia quelle di supporto tecnico alla sedicente autorità libica, previste dall’operazione Mare Sicuro.

Task Force dell’operazione Ippocrate, Crediti Ministero della Difesa

«Giovani, altamente operativi e fortemente motivati»

Secondo gli accordi del cessate il fuoco tra Gna e Esercito Nazionale libico redatti da Erdogan e Putin, il possibile intervento italiano (ed europeo) è tollerabile solo in qualità di “osservatori”. Un ruolo, cioè, dI peacekeeping (a scopo di mantenimento della pace).

Ma chi sarebbero i possibili militari scelti per andare a ricoprire questo ruolo in Libia? «In un settore così delicato come quello libico – ha detto Leggiero – i militari saranno scelti tra i reparti composti da persone giovani, altamente operativi e fortemente motivati. Sarà questo il quadro entro cui si muoverà la scelta».

«Bisogna avere una certa agilità in un territorio altamente pericoloso e mobile come quello della Libia», ha detto ancora il presidente dell’Osservatorio. «Man mano che la fascia di età avanza, non si è più tra i reparti operativi. È una logica standard».

L’uranio impoverito: un segreto pubblico

«Il vero problema non è tanto nelle scelte dei reparti, ma nella scelta dei comandanti», osserva ancora Leggiero. «Molto spesso vengono scelti con una logica politica. E questo la dice lunga».

Ma in che senso si parla di logica politica nella scelta dei comandanti? «Si sceglierà sempre di mandare dei comandanti che sanno mantenere il segreto sulle condizioni di pericolosità nei territori. Come ad esempio per la questione dell’uranio impoverito».

Nel 2018, un gruppo di esperti libici vicini al governo di accordo nazionale aveva dimostrato dei tassi di radioattività elevati in uno dei quartierI generali dell’esercito libico, che era stato colpito dalle forze dell’Alleanza atlantica nel 2011. Nuri al-Druk, consulente della commissione ambiente, aveva dichiarato all’agenzia di stampa Sputnik che «dopo aver effettuato misurazioni precise, si era scoperto che la radioattività è il risultato dell’uso di missili NATO con uranio impoverito».

ANSA, Sasa Stankovic| Immagine d’archivio di un proiettile di uranio impoverito

«È un dato di fatto che i vertici non facciano attenzione a queste cose», accusa ancora il presidente. «L’area è stracolma di uranio. Non ci sono più insediamenti puliti, c’è un’alta tossicità. A me dicevano che non si trattava di un fungo atomico, ma di fumi provenienti da un picnic. Sono sicuro che anche stavolta si ripeterà lo stesso schema».

«Detto questo – ha specificato – non vuol dire che i nostri ragazzi e le nostre ragazze abbiano il timore di operare dove è stato usato un certo tipo di munizionamento. Il problema è trovare chi ha il coraggio di dire che c’è, e che fa male. Se c’è un fungo atomico basta attrezzarsi. Ma se non mi viene detto, i rischi si moltiplicano».

«La situazione è critica», dice ancora Leggiero. «I ragazzi e le ragazze non possono più parlare, perché ora è un reato di carattere penale andare dai giornalisti senza i dovuti permessi. Ma questa volta, a differenza di quanto accadde per la Bosnia, nessuno potrà dire di non sapere».

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Foto copertina: Miasit. Corsi di formazione per personale militare libico. Fonte: Ministero della Difesa

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