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Merkel fa l’avvocato della Ue: «È la nostra assicurazione sulla vita»

16 Gennaio 2020 - 14:30 Redazione
La cancelliera affronta il nodo dell’addio della Gran Bretagna e avverte: «È un campanello d’allarme per l’Europa»

Angela Merkel si intesta il ruolo di avvocato dell’Unione europea. In una lunga intervista al Financial Times, la cancelliera – che ha già annunciato il suo ritiro alla conclusione del mandato nel 2021 – usa parole inequivocabili in difesa della Ue: «Vedo l’Unione europea come la nostra assicurazione sulla vita. La Germania – spiega Merkel – è troppo piccola per essere influente da sola, ed è per questo che dobbiamo sfruttare tutti i vantaggi del mercato unico».

Nell’intervista, rilasciata quando mancano due settimane alla Brexit, la cancelliera affronta proprio il nodo dell’addio della Gran Bretagna e avverte: «È un campanello d’allarme per l’Europa». Inoltre, il timore di Merkel è che Londra dopo l’addio a Bruxelles possa diventare, più che un alleato, un competitor della Germania.

Nonostante la situazione delicata in seno all’Unione dopo il divorzio unilaterale di Londra, resta ottimista. All’Europa però chiede di mettere in moto una svolta, insomma di svegliarsi e dimostrarsi «attrattiva, innovativa, creativa». Da questo punto di vista, chiarisce, «la concorrenza può quindi dare buoni frutti».

Al centro del colloquio a tutto campo non soltanto l’Unione Europea. La cancelliera parla anche del ruolo delle Nazioni Unite che in passato rappresentavano «la fondamentale lezione che avevamo imparato dalla seconda guerra mondiale e dai decenni precedenti». Trascorsi i decenni, ormai lontani i conflitti globali, quella lezione e le motivazioni della nascita di enti come l’Onu sembrano aver perso consistenza.

A questo proposito, interrogata sulla posizione del presidente Donald Trump che vorrebbe si riformassero alcune organizzazioni internazionali, la cancelliera conferma che esiste una necessità di evoluzione degli enti, ma dal suo punto di vista non va messa «in discussione la struttura multilaterale del mondo».

E proprio al rapporto fra la Germania e gli Stati Uniti di Trump è dedicata una lunga parte dell’intervista. Personaggi diversissimi, anche caratterialmente, Merkel e Trump notoriamente non si sono mai amati. Ma la cancelliera precisa che le recenti frizioni fra le due nazioni, con l’economia tedesca che teme dazi Usa sul comparto automobilistico europeo, hanno «cause strutturali».

Ciò perché, spiega Merkel, «c’è stato un cambiamento»: è cambiato il modo in cui gli Stati Uniti guardano l’Europa e non solo dall’amministrazione Trump in poi. «Già Obama, da presidente, parlava di “secolo asiatico”. Ciò significa anche che l’Europa non è più, per così dire, al centro del mondo».

Nonostante questa trasformazione delle relazioni per la cancelliera i rapporti fra Unione Europea e Usa rimangono «cruciali», in particolare «per quanto riguarda le questioni fondamentali relative ai valori e agli interessi mondiali».

C’è però bisogno di una svolta anche dal punto di vista della dotazione militare perché, spiega la cancelliera, ci sono zone d’ombra oggi, per la Nato «l’Europa deve, se necessario, essere preparata a intervenire». La risposta alla domanda su dove si trovino queste aree è inequivocabile: «L’Africa».

Un cambio di passo necessario però non soltanto in campo militare, ma anche e soprattutto in quello economico. Mentre la Germania rischia di rimanere schiacciata nella guerra dei dazi fra Pechino e Washington, la cancelliera resta ottimista: «L’Unione europea può subire la pressione delle tensioni commerciali tra America e Cina? Ciò può accadere, ma possiamo anche cercare di prevenirlo».

Cina è però il nemico numero uno per l’economia tedesca. Sulla Cina Merkel «si fa poche illusioni»: la finanza e l’economia tedesche sono altrettanto sul piede di guerra nei confronti delle pratiche di Pechino, considerate «sleali», rispetto alle omologhe americane. La Cina, per Merkel, è sempre più un agguerrito concorrente.

La cancelliera consiglia però di non «considerarla come una minaccia per il fatto che ha successo economico». Conclude perciò: «L’isolamento totale della Cina non può essere la risposta».

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