Il fatto della settimana: la battaglia della sinistra spagnola contro l’utero in affitto
In Spagna il neonato governo Sanchez, sostenuto dall’alleanza a sinistra fra i socialisti e Unidas Podemos di Pablo Iglesias, ha aperto un fronte di divergenza rispetto alle posizioni dei progressisti europei e in particolare di quelli italiani: la condanna dell’utero in affitto. Nel programma di governo reso pubblico prima del voto di fiducia arrivato il 7 gennaio, infatti, nel settimo, corposo, capitolo dedicato alle Politiche Femminili, accanto alla lotta per la parità salariale, contro la violenza maschile, la tratta delle donne a scopo sessuale e il diritto alla maternità consapevole, compare nell’ultimo paragrafo la decisa condanna delle «pance in affitto» («los vientres de alquiler»). «Lo sfruttamento riproduttivo – si legge nell’accordo fra le forze politiche – è vietato dalla nostra legislazione, in linea con le raccomandazioni del Parlamento europeo. Le pance in affitto minano i diritti delle donne, soprattutto di quelle più vulnerabili, mercificando i loro corpi e le loro funzioni riproduttive. E per questo, agiremo di fronte alle agenzie che offrono questa pratica sapendo che è vietato nel nostro paese».
Come funziona il sistema delle agenzie
Sì, perché in Spagna la pratica del’utero in affitto (la GPA, gestazione per altri) è vietata dalla legge. Ciononostante è molto diffusa, conseguentemente al boom, soprattutto negli ultimi anni, di agenzie di intermediazione con Georgia e Ucraina (dai nomi come Go4Baby, Interfertility, Surrobaby, Gestlife o Matergest) che sotto il travestimento di “adozioni internazionali” nascondono la Gap che in Spagna è punita con pene fino a 5 anni di carcere. La cifra richiesta, un esborso tutto sommato abbordabile, si aggirerebbe attorno ai 50mila euro. Nell’ultimo anno, secondo alcune stime, la pratica avrebbe visto un’impennata del 60%, anche se non esiste un registro ufficiale delle “consulenze” effettuate dalle agenzie di intermediazione. Da traino al fenomeno anche nomi celeberrimi (non solo in Spagna) che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata negli stati Uniti, come Cristiano Ronaldo, Ricky Martin e Miguel Bosè.
Le posizioni in campo in Spagna
Il governo socialista in amministrazione straordinaria già nello scorso agosto aveva sollecitato la procura di Madrid, tramite il ministro della Giustizia Dolores Delgado, all’apertura di un’inchiesta per fare chiarezza sull’entità del fenomeno e sulle contromisure da adottare. In linea con questo provvedimento, il nuovo programma di governo annuncia quindi un giro di vite.
Gli schieramenti
In Spagna, l’estrema tolleranza nei confronti dell’allargamento a macchia d’olio del fenomeno, è da attribuire ai governi di centrodestra. Ciudadanos si pone da sempre esplicitamente a favore della Gap: nel settembre del 2018 il partito aveva presentata una proposta di legge per la legalizzazione dell’utero in affitto. Secondo il leader Rivera, questa misura era necessaria per trasformare la Spagna in «un paese moderno», proprio come ha fatto «con la legge sull’aborto o con la legalizzazione del matrimonio tra coppie dello stesso sesso». Insomma, nella penisola iberica funziona così: da una parte c’è la sinistra che vuole combattere «los vientres de alquiler», considerata una pratica che disumanizza la donna e che apre la strada alla tratta di essere umani, dall’altra invece invece il centrodestra liberale che considera aprire alla maternità surrogata come una conquista di civiltà, alla stregua delle altre battaglie sui diritti civili.
In Italia grande è la confusione sotto al cielo
E in Italia? La situazione sembrerebbe ribaltata, ma grande è la confusione sotto il cielo. Decisamente per il sì la prima firmataria della legge sulle unioni civili, che porta il suo nome, Monica Cirinnà. Ma anche uno storico (ormai ex leader) della sinistra-sinistra: Nichi Vendola. Il fondatore di Sel nel 2016 è diventato padre di un bambino nato negli Stati Uniti con la Gap. La sua vicenda personale ha avuto ampia eco mediatica, tanto da farlo diventare un simbolo (per i favorevoli alla pratica, ma soprattutto per i detrattori) della maternità surrogata.
Il Pd e Se Non Ora Quando
Sul fronte Pd tra i favorevoli troviamo Sergio Lo Giudice, uno dei volti storici dell’universo Lgbtq+ italiano, anch’egli padre attraverso una gravidanza surrogata: la sua nomina nel luglio 2018, nella segreteria guidata da Maurizio Martina, a capo del Dipartimento Diritti suscitò una ridda di polemiche e l’addio ai dem da parte di Francesca Marinaro, Francesca Izzo e Licia Conte, tra le fondatrici del partito. Se Non Ora Quando Libere, associazione di cui fanno parte le tre donne, aveva sottoscritto, insieme ad altre sigle femministe tra cui Arcilesbica Nazionale, una lettera di protesta al Pd: «Sergio Lo Giudice rappresenta una versione distorta dei diritti civili ridotti a bella etichetta per pratiche neoliberali», si leggeva nella comunicazione. Le ex dem annunciavano di aver lasciato il partito perché con la nomina di Lo Giudice si era «inviato in tal modo agli iscritti, agli elettori e ai cittadini un messaggio inequivocabile: il Pd ritiene che una pratica inaccettabile rientri nel novero dei diritti civili». Sempre a sinistra, favorevoli alla regolamentazione troviamo l’ex presidentessa della Camera Laura Boldrini e gli attivissimi radicali: l’Associazione Luca Coscioni ha presentato due proposte per normare la pratica, l’ultima soltanto nel luglio scorso. Più in generale però i partiti nell’alveo del centrosinistra non prendono una posizione schierata su un tema considerato delicato e divisivo.
La frattura nel sindacato
Spaccato anche il sindacato. Il casus belli in occasione del convegno dello scorso giugno, organizzato dalla CGIL, «Fecondazione medicalmente assistita e gestazione per altri: la possibilità di un figlio nel 2019» proprio in supporto alla proposta di legge sull’utero in affitto e sulla maternità surrogata dell’Associazione Luca Coscioni e sottoscritta, tra gli altri, dalle Famiglie Arcobaleno. Landini era per questo finito nel mirino di una parte degli iscritti che contestavano al segretario l’assenza di un dibattito interno al sindacato, e vengono mosse diverse domande che attendono risposta. «L’immagine di una donna che affitta l’utero rientra nella missione di tutela del lavoro?», chiedevano polemicamente i contestatori. Polemiche analoghe quando il sindacato, allora guidato da Susanna Camusso negò il patrocinio al Pride 2018, proprio davanti al rifiuto, da parte degli organizzatori di inserire la richiesta della Gpa e dell’utero in affitto. Arcilesbica, all’epoca, accusò Camusso e la Cgil di «sottomettere la maternità alla produzione, facendo della gestante stessa una materia prima».
Il fronte (maggioritario) del No
Nel campo del “No” (oltre a qualche posizione isolata, sempre a sinistra, come quella di Stefano Fassina) Italia Viva di Matteo Renzi e il M5S di Luigi Di Maio, anche se con una posizione più sfumata. Compattamente contrario alla Gap, senza sfumature, l’intero centrodestra, da Fratelli d’Italia a Forza Italia, passando per la Lega di Matteo Salvini. Un fronte, quello che fa muro alla regolamentazione della pratica, decisamente maggioritario, ma eterogeneo e che si oppone per ragioni diverse: le femministe contrarie, come la sinistra spagnola, sono per difendere le donne dalla possibile mercificazione del proprio corpo, mentre a destra le motivazioni sono maggiormente legate alla salvaguardia e perpetrazione dei valori della famiglia tradizionale, soprattutto quando la Gap viene utilizzata da coppie omogenitoriali.