M5S, fra tensioni interne ed esterne. Patuanelli: «Il Movimento nel campo riformista»
Continuano le fibrillazioni interne ed esterne nel Movimento 5 Stelle. Dopo l’ennesimo abbandono, quello del senatore Luigi Di Marzio, andato a infittire le fila del gruppo Misto, altri due senatori e due deputati sembrano sulla strada dell’addio. E poi c’è la partita delle espulsioni: dopo le 35 lettere inviate dai probiviri, potrebbero essere una decina circa i parlamentari prossimi all’espulsione: si fanno i nomi dei senatori Mario Michele Giarrusso e Lello Ciampolillo.
Intanto continuano a rincorrersi, seppure smentite, le voci di un possibile passo indietro del capo politico Luigi Di Maio. Scaldano i motori l’ex ministro Danilo Toninelli e Paola Taverna. Ma è ancora Alessandro Di Battista l’antagonista più combattivo per l’eventuale avvicendamento, soprattutto se andrà in porto la battaglia-bandiera per il pasionario del Movimento – della revoca delle concessioni autostradali. Ma c’è anche chi chiede maggiore lavoro di squadra, come il vicepresidente del Parlamento Ue Fabio Massimo Castaldo: «Adesso è tempo di far crescere il Movimento – chiede – in senso ancora più collegiale e inclusivo».
Poi c’è la partita dei territori. In attesa che decolli, se lo farà, la struttura dei facilitatori regionali (che di fatto darà al movimento la struttura di un partito tradizionale) tutti rimangono in attesa del risultati delle elezioni in Emilia-Romagna. Si mormora che Di Maio sia tentato, nel caso l’esecutivo giallorosso dovesse vacillare dopo il voto, a un ritorno di fiamma con la Lega: un modo per il ministro degli Esteri di trovare un supporto esterno laddove manca oggi quello interno. Ma in casa 5 Stelle si vive alla giornata e Di Maio si sta preparando a incontrare i capi commissione, veri plenipotenziari delle scelte parlamentari, a cui ribadirà l’orizzonte programmatico dei tre anni.
Intanto, in un’intervista a La Repubblica, il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, considerato da molti la vera guida della fronda interna pronta a scalzare Di Maio (c’è chi lo vedrebbe addirittura come alfiere di un partito-Conte in uscita dal movimento in caso di elezioni anticipate) non ha dubbi sull’area politica in cui si deve collocare il M5S: «La storia del Movimento parla di diritti dei cittadini, di lotta alle diseguaglianze, di ambiente, di diritti dei lavoratori – chiarisce Patuanelli – Il nostro campo è certamente quello riformista».
Il ministro smentisce che sia in atto un’emorragia nel Movimento. E liquida così la fuoriuscita dell’ex ministro dell’Istruzione: «Non è che se Fioramonti se ne va c’è una scissione. Pensava gli chiedessimo in ginocchio di restare, non è successo». Sugli obiettivi degli Stati Generali del Movimento, Patuanelli ha le idee chiare: «Dovranno riguardare il perimetro dell’azione politica del Movimento 5 stelle e porre nuovi obiettivi. Non perché li abbiamo smarriti, ma perché abbiamo ottenuto molto di quel che ci eravamo prefissi in questi anni».
Patuanelli poi dice chiaramente che Di Maio non deve lasciare e alla domanda se, come si mormora, potrebbe essere lui il prossimo capo politico del Movimento risponde: «Di Maio è leader per 5 anni a partire dal 2017». Quindi nessun avvicendamento in tempi brevi, neanche se a chiederlo fosse direttamente Beppe Grillo, perché «il capo viene eletto, non nominato». Ma su possibili revisioni dello statuto e del ruolo di Rousseau Patuanelli sembra fare eco a Castaldo: «Credo ci possa essere l’esigenza di arrivare a una guida collegiale del Movimento». Insomma, basta decisioni che arrivano dall’alto. Un messaggio a Di Maio, ma forse anche a Davide Casaleggio.
Immagine di copertina – Il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli durante il voto di fiducia sul decreto fiscale al Senato, Roma, 17 dicembre 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
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