Duro colpo: Haftar chiude il rubinetto del petrolio alla vigilia della conferenza di Berlino
La Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc) ha dichiarato lo stato di «forza maggiore», e quindi la loro chiusura, nei terminal petroliferi del golfo della Sirte. Lo riporta un post sulla pagina Facebook della Noc precisando che il Comando generale di Khalifa Haftar e le Guardie degli impianti petroliferi hanno dato istruzioni per «fermare le esportazioni di petrolio» da cinque porti tra cui Sidra e Ras Lanuf.
Noc dichiara «la forza maggiore dopo i blocchi Lna», il sedicente Esercito nazionale libico di cui Khalifa Haftar è comandante generale, «delle esportazioni di petrolio dai porti di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina e Sidra», sottolinea il post riferendosi fra l’altro, nel caso di Sidra e Raf Lanuf, ai due maggiori terminal petroliferi libici.
Il comando generale Lna e le Guardie degli impianti petroliferi delle regioni centrale e orientale «hanno dato istruzioni alla dirigenza della Sirte Oil Company, Harouge Oil Operations, Waha Oil Company, Zueitina Oil Company e Arab Gulf Oil Company (AGOCO), controllate della National oil corporation», la stessa Noc, «di fermare le esportazioni di petrolio dai porti di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina e Sidra», precisa il comunicato.
«Ciò risulterà in una perdita di produzione di greggio di 800mila barili al giorno e perdite finanziarie di circa 55 milioni di dollari al giorno», stima la Noc.
Le istruzioni sul blocco «sono state date dal generale maggiore Nagi al-Moghrabi, Comandante delle Pfg», le «Petroleum Facilities Guard (Guardie degli impianti petroliferi) nominato dallo Lna, e dal colonnello Ali al-Jilani della Sala operazioni Grande Sirte dello Lna».
Fedeli di Haftar ieri avevano chiuso il terminal di Zueitina, nell’est del golfo della Sirte e «hanno minacciato di bloccare le esportazioni di tutti i terminal petroliferi nel Paese», ricorda il sito.
In copertina il generale della Libyan National Army (LNA) Khalifa Haftar durante un incontro con il ministro greco Dendias ad Atene, in Grecia, 17 gennaio 2020. EPA/Yannis Kolesidis
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