Davos, la prima volta al forum economico di 10 attivisti under 20: non solo Greta, chi sono e di cosa parleranno
Ogni anno nel mese di gennaio i “grandi” della politica e del mondo economico si riuniscono nella piccola località sciistica di Davos, in Svizzera, per discutere, principalmente, dell’andamento dell’economia mondiale in compagnia di accademici, membri del mondo dei media, delle organizzazioni internazionali, artisti e altri esponenti della società civile. Quest’anno sono circa tremila i delegati al Forum economico mondiale, da oltre 117 paesi. Tra loro ci saranno anche Giuseppe Conte, Donald Trump, Angela Merkel e – al secondo anno consecutivo – Greta Thunberg.
Guerra dei dazi, emissioni di CO2 e disuguaglianza
Non è un caso: il tema del raduno di quest’anno è la coesione sociale e la sostenibilità (l’anno scorso invece era la Globalizzazione 4.0). Il cambiamento climatico è al centro del dibattito, quindi. Merito anche dell’Unione europea e della commissione von der Leyden che ha alzato gli obiettivi di riduzione di gas climalteranti a 45-50% (rispetto ai livelli degli anni ’90) entro il 2030. Dopo il fiasco del summit della COP 25, Davos rappresenta una nuova opportunità per chiarire alcune delle strategie – e dei costi – per ridurre le emissioni. Ma non solo: si parlerà infatti anche di tensioni sociali e disuguaglianza, al netto anche del rapporto pubblicato da Oxfam che ricorda quanto sia lunga la strada verso una più equa distribuzione della ricchezza in un mondo dove circa 2 mila persone hanno un patrimonio superiore a quella dei 4,6 miliardi di persone più povere sulla Terra, ossia il 60% della popolazione mondiale. Nel mirino ci sono, come in anni passati, anche le principali compagnie tecnologiche come Google e Facebook, ancora sotto accusa per gli atteggiamenti monopolistici, per i tentativi di evadere il fisco e per l’uso improprio dei dati degli utenti.
Alla fine, come ogni anno, l’agenda sarà anche dettata dall’attualità mondiale, come le crisi geopolitiche – in Medio Oriente dopo le tensioni tra l’Iran e gli Stati Uniti come in Cile e a Hong Kong – le preoccupazioni legate al rallentamento dell’economia globale (alla vigilia del summit il Fondo Monetario Internazionale ha tagliato le stime di crescita per l’anno prossimo dal +3,6% al +3,4% mentre la previsione per quest’anno è di +2,5%) e alle sorti del commercio globale. È grande l’attesa per il discorso di Donald Trump che, reduce di un primo accordo con la Cina (è stato congelato l’aumento delle tariffe) dopo un braccio di ferro durato due anni potrebbe tornare a pungolare l’Europa, accusata di “approfittare” degli Stati Uniti (il surplus commerciale europeo ne sarebbe una prova). Magari anche per distogliere l’attenzione dall’inizio del processo per l’impeachment al Senato.
Non solo Greta: chi sono gli altri “giovani leader”
Per la prima volta nella storia di Davos, un gruppo di 10 “giovani leader“, tutti d’età inferiore ai 20 anni, parteciperà al summit come rappresentanti della loro generazione. Tra loro – è quasi scontato – c’è Greta Thunberg, l’attivista svedese diventata icona mondiale dell’ambientalismo giovanile e della lotta contro il cambiamento climatico. Al suo fianco ci sono altri attivisti per il cima, come Ayakha Malithafa, 17enne di origini sud africane, uno dei volti del movimento che si batte per una transizione energetica nel continente africano – o Melati Wijsen (19 anni) nata sull’isola di Bali e fondatrice, insieme a sua sorella, di un’organizzazione che mira a ripulire le spiagge dell’isola dalla plastica. Ci saranno anche Cruz Erdmann (14 anni), promettente fotografo naturalista, e Fionn Ferreira (18 anni), scienziato e inventore di un meccanismo per estrarre le micro-plastiche dagli oceani.
Domina il tema dell’inquinamento e del riscaldamento globale tra i giovani delegati, ma non solo. La protezione della natura passa anche attraverso la tutela dei diritti dei gruppi più vulnerabili: tra i 10 “giovani leader” c’è anche Autumn Peltier dal Canada, giovane attivista nativo americana che si batte per migliorare l’accesso all’acqua potabile tra i popoli indigeni. Mohamad Al Jounde, profugo siriano parlerà invece della scuola da lui fondata insieme alla famiglia per garantire l’accesso all’educazione a chi è dovuto fuggire dalla propria casa. Dagli Stati Uniti invece è stata invitata Naomi Wadler. Aveva guidato una breve marcia di protesta per commemorare l’uccisione di 17 studenti e insegnanti nella sparatoria avvenuta in una scuola a Parkland, Florida. Da allora è diventata, come si legge sul suo profilo Twitter (gestito da sua madre) un’attivista che tenta di «cambiare il modo in cui si parla delle ragazze». Chissà se Trump ascolterà il suo intervento.
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