Il capopolitico Luigi Di Maio, breve storia del primo leader (eletto) del Movimento 5 Stelle
«Sono stato eletto non per cambiare il M5s, ma per cambiare l’Italia e il Paese e aiutarlo a risorgere». 23 settembre 2017, Rimini. Luigi Di Maio sale sul palco della kermesse organizzata dal Movimento 5 Stelle. Sono appena stati diffusi i risultati delle primarie: Di Maio è diventato il primo capo politico del movimento fondato nel 2009 da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. 851 giorni. Due anni e mezzo. Tanto è durata la leadership di Di Maio, visto che oggi, come confermato da più fonti, dovrebbe annunciare le sue dimissioni. 851 giorni che hanno visto cambiare il M5s: una partenza in salita, il trionfo delle elezioni politiche, il primo governo con la Lega, il calo, nei sondaggi e nei voti, e poi ancora il secondo governo con il Pd e la fronda interna.
L’esordio, un Movimento in crisi dopo le amministrative del 2017
Le elezioni amministrative del 2016 erano andate molto bene per il M5s, non tanto per i numeri, quanto per le poltrone ottenute. Dei 251 comuni in cui è stato candidato, in 4 ha vinto al primo turno, e in altri 19 al ballottaggio (su un totale di 20 in cui era presente al secondo turno). Ma soprattutto, il M5s era riuscito a piazzare due sindache in città importanti: Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino, strappando la vittoria al sindaco uscente Piero Fassino.
Nel 2017 invece i risultati sono stati più deludenti. I Cinque stelle sono fuori dai ballottaggi più importanti, come Genova e Palermo, e su 1009 comuni al voto riescono a prenderne 10. Serve una svolta. E per questo nel settembre di quello stesso anno, due mesi dopo le elezioni, il Movimento decide di organizzare una kermesse e delle primarie per eleggere un capo politico.
Le primarie Cinque Stelle: sette candidati e poche incertezze
Appena viene annunciata la scelta di eleggere un capo politico, subito si pensa a una guerra tra tre candidati: Alessandro Di Battista, volto mediatico e protagonista di campagne come Costituzione Coast to Coast, Luigi Di Maio, ala istituzionale e Roberto Fico, rappresentante degli ortodossi. In questo momento Di Maio sta ricoprendo la carica di vicepresidente della Camera, il più giovane della storia della Repubblica.
I nomi definitivi dei candidati sparigliano le carte: dei big c’è solo Luigi di Maio. Gli altri sette sono quasi sconosciuti alle elezioni, a esclusione di Elena Fattori, già eletta in Senato. Partecipano alle primarie circa 37mila votanti. Di Maio, come prevedibile, vince con l’83% dei voti. Sono primarie caratterizzate da qualche spaccatura. Gli sfidanti di Di Maio vengono definiti da alcune testate i «Sette Nani». Roberto Fico a Rimini non applaude alla proclamazione del nuovo leader, ma accetta il risultato: «Nel Movimento non ci sono correnti», dirà ai giornalisti.
Il trionfo delle politiche del 2018
Le elezioni politiche del 2018 sono il punto più alto nella storia del Movimento Cinque Stelle: 32% dei voti: il primo partito in Italia. Sono elezioni che definiscono la nascita di tre poli. La coalizione di centrodestra ottiene il 35% dei voti, il Pd, orfano degli esuli di Liberi e Uguali, arriva al 18,7%. C’è molto dubbio sulle possibili alleanze. Soprattutto perché uno dei mantra del Movimento è sempre stato quello: «Mai alleanze». Alla fine la scelta: Di Maio punta al governo con la Lega, che con il suo 17% scatta in avanti rispetto agli alleati Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Il giovane leader della politica italiana
Insieme a Matteo Salvini firma il Contratto per il governo del cambiamento: 58 pagine in cui viene fatta una sintesi dei punti da seguire per un governo che punta a rimanere unito per tutta la legislatura. A guidarlo il premier Giuseppe Conte. Di Maio è vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro. Tutto a 31 anni. Contando che è anche a capo del primo partito in Italia, questo è il momento più splendete (finora) della sua carriera politica.
Il governo Conte e lo scontro con Salvini
I 451 giorni del primo governo Conte sono caratterizzati dallo scontro tra Di Maio e Matteo Salvini. Entrambi cercano di portare a casa provvedimenti che possano rispondere alle aspettative del loro elettorato. Mentre Salvini si concentra sulla sicurezza, su Quota 100 e sulla campagna #portichiusi, Di Maio ottiene il Reddito di Cittadinanza. Le tensioni diventano insostenibili dopo le europee del 2019. Il Movimento Cinque Stelle crolla al 17%, mentre la Lega arriva al 34%. Cominciano a piovere critiche sul leader politico: il Foglio titola Come leader Di Maio è finito, Fanpage invece scrive Di Maio è il capolitico? Allora si dimetta.
Il leader però tiene il punto: «Le elezioni sono andate male. È chiaro che la nostra gente non è andata a votare. Nessuno ha chiesto le mie dimissioni».
Il nuovo governo e la fronda interna
Dopo tre mesi dalle elezioni europee arriva la crisi di governo. Salvini punta a capitalizzare il consenso giocando tutto su nuove elezioni, come spiegherà Conte. La crisi però non va nel verso voluto dalla Lega. Pd e M5s decidono di allearsi e in questa fase Di Maio rifiuta la proposta della Lega di formare un nuovo governo di cui lui sarebbe stato presidente del Consiglio. Nel caso sarebbe diventato il premier più giovane della storia d’Italia, strappando il primato a Matteo Renzi, arrivato a palazzo Chigi dopo aver compiuto 39 anni.
Il nuovo governo, i risultati deludenti delle europee e quelli delle regionali del 2019 (Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Piemonte e Umbria), aggravano ancora di più la posizione di Di Maio. Il Movimento è in fase critica, tanto che pensa di non candidarsi nemmeno in Emilia Romagna e Calabria, decisione che verrà cambiata solo dal voto degli attivisti sulla piattaforma Rousseau.
Nel nuovo governo con il Pd, Di Maio si fa da parte. Tramontata l’ipotesi di uno schema con due vicepresidenti del Consiglio, come nel Conte 1, Di Maio diventa ministro degli Esteri. Intanto la fronda contro di lui comincia a crescere. Nel settembre 2019 il senatore Michele Giarrusso arriva a dire che Di Maio ha troppi poteri e dovrebbe «lasciare gli incarichi». Negli stessi giorni, 70 senatori del Movimento firmano un documento dove chiedono di rivedere lo statuto, definendo meglio i ruoli del capo politico.
Gli Stati Generali e l’attacco diretto
A novembre 2019 il Movimento convoca gli Stati Generali, un evento nazionale in programma per marzo 2020 per ridefinire la struttura e la direzione politica della creatura di Grillo e Casaleggio:
Oggi abbiamo bisogno di nuove parole guerriere, di nuovi obiettivi, di progetti da realizzare. Va tracciata la nuova traiettoria da seguire e va messa alla prova la nuova organizzazione del MoVimento 5 Stelle.
E così, a inizio gennaio si arriva all’affondo diretto. Tre senatori firmano un documento di cinque punti in cui la critica non è più generica è costruttiva, come il documento di settembre, ma è ben mirata:
Serve una netta separazione tra le cariche interne al Movimento e quelle di governo. La loro sovrapposizione sta determinando concentrazione di potere e criticità ormai incomprensibili sia per la nostra base che per i cittadini.
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