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M5s, che cosa succede ora nel Movimento dopo le dimissioni di Di Maio

23 Gennaio 2020 - 06:12 Alessandro Parodi
In attesa degli Stati Generali, le forze in campo e tutti gli interrogativi sul futuro del Movimento. Mentre si fa assordante il silenzio del fondatore Beppe Grillo

Dopo il passo indietro di Luigi Di Maio per il Movimento 5 Stelle il futuro sembra essere incerto: se l’ex capo politico ha confermato che per il momento il reggente sarà Vito Crimi, in qualità di membro più anziano del comitato dei garanti, si prospetta per il Movimento un vero e proprio stravolgimento degli equilibri che l’hanno retto fino a oggi, a cominciare dagli Stati Generali del prossimo marzo che porteranno all’elezione dei nuovi vertici, ma forse anche a nuove regole.

Il primo interrogativo riguarda lo stesso Luigi Di Maio: il ministro degli Esteri, che secondo le parole dello stesso Crimi non sarà più il referente del M5S nel governo, sarà ancora della partita per la guida del Movimento? Durante il suo discorso d’abbandono della carica ha detto chiaramente di non aver intenzione di farsi da parte: «Non mollo, tornerò agli Stati Generali». In suo soccorso, a pochi minuti dalla conclusione del lungo intervento in cui l’ex vicepremier è andato all’attacco dei “nemici interni”, sono arrivati Davide Casaleggio (che ha stigmatizzato quelli che «pubblicavano i loro distinguo per inseguire un titolo di giornale») e la sindaca di Torino Chiara Appendino.

Si vocifera proprio di un ticket fra Di Maio e la sindaca del capoluogo piemontese per una nuova corsa alla guida del Movimento o forse, più verosimilmente, per un ruolo non di primissimo piano. Intanto scalpita l’ala governista con il ministro delle Infrastrutture Stefano Patuanelli, vicinissimo al premier Conte, che in molti vedono ormai come il vero plenipotenziario pentastellato nell’esecutivo giallorosso.

Scalpita anche Alessandro Di Battista, il pasdaran del movimento che rappresenta l’anima più fedele alle origini barricadere. Una scalata del popolare Dibba al vertice significherebbe un indebolimento del governo (e una probabile conseguente fine anticipata della legislatura): orizzonte che non sarebbe visto di buon occhio dalla maggioranza dei parlamentari del M5S, soprattutto se Stefano Bonaccini dovesse prevalere alle elezioni regionali in Emilia-Romagna, facendo da diga all’avanzata della Lega di Salvini.

La parola d’ordine condivisa dalle diverse anime del movimento sembra comunque la richiesta di “maggiore collegialità”, imputando velatamente, ma non troppo, a Di Maio una gestione verticistica. Dagli Stati Generali dovrà uscire “nuova Carta dei valori”, definizione per ora di difficile collocazione politica. Quel che è certo è che oggi il ministro degli Esteri nel suo lungo intervento, non ha accennato all’inserimento del M5S nel “campo riformista” (come fatto da Patuanelli giorni fa), né a un’alterità al centrodestra.

In campo quindi forse ancora lo stesso ex capo politico, l’area fortemente governativa capitanata da Patuanelli (che guarda al centrosinistra), il pasionario Di Battista, ma anche le outsider Paola Taverna e Roberta Lombardi. Poi la galassia dei fuoriusciti, con l’ex ministro Fioramonti pronto a far pesare il suo gruppo Eco (fuori o, chissà, dentro il Movimento). E in tutto questo il silenzio assordante del fondatore e garante Beppe Grillo.

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