Sopra la Namibia ma sotto Malta. La posizione dell’Italia nell’indice sulla corruzione
51° su 180. Meglio, rispetto agli scorsi anni ma forse non abbastanza. È questo il risultato dell’Italia nel Cpi 2019, il Corruption Perceptions Index. A pubblicarla ogni anno è Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di analizzare le diffusione della corruzione in tutti i Paesi del mondo.
In breve, questo indice misura il livello di percezione della corruzione. Per ogni Stato vengono analizzate 13 tipologie di fonti, che vanno dal nepotismo negli uffici pubblici, alle misure decise dal governo per bloccare la corruzione, fino al tipo di protezione fornita a giornalisti e whistleblower. Questo termine letteralmente significa «suonatori di fischietto» e indica chi segnala situazioni sospette in azienda o nella pubblica amministrazione.
Nel 2012 l’Italia si trovava al 72° posto ma nel corso degli anni è riuscita a risalire la classifica. Lo stacco più grande, di ben 8 punti è arrivato tra il 2014 e il 2015, quando il governo Renzi ha deciso di aprire l’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione. Al momento il nostro Paese si trova sopra la Namibia e sotto Malta.
Il presidente di Transparency Italia: «Speravamo in qualcosa di più»
Non un gran risultato, secondo Virginio Carnevali, presidente di Transparency International Italia: «Siamo lieti di vedere un ulteriore miglioramento ma sinceramente speravamo in qualcosa di più. Il rallentamento è dovuto a diversi problemi che il nostro Paese si trascina da sempre senza riuscire a risolverli».
Criminalità organizzata, conflitti di interesse e lobby. Sono tanti gli aspetti che secondo Carnevali devono ancora essere corretti, ma il presidente di Transparency International Italia è preoccupato anche per le mosse dell’attuale governo:
«Non è un buon esempio la recente abolizione degli obblighi di comunicazione dei redditi e dei patrimoni dei dirigenti pubblici nell’ultima legge finanziaria. E non sono d’accordo sulla riforma della prescrizione. La maggior parte delle prescrizioni si ha ben prima della sentenza di primo grado e si rischia una deviazione costituzionale senza avere un effettivo vantaggio».
Spostando l’attenzione oltre alla situazione italiana, i due Paesi che hanno raggiunto il punteggio più alto sono la Danimarca e la Nuova Zelanda, seguiti sul podio da Finlandia e Singapore. Nelle ultime posizioni invece troviamo la Siria, il Sudan del Sud e la Somalia.
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