Virus Cina, la testimonianza di un infermiere italiano a Wuhan a Medical Facts di Burioni: «Qui c’è rabbia e sfiducia»
«I social cinesi, sebbene sottoposti a controllo, vivono oggi un’esplosione di rabbia, sfiducia e frustrazione» per via di una iniziale mancanza di chiarezza da parte delle autorità sui casi del nuovo coronavirus. A raccontarlo, sul portare Medical Facts del virologo Roberto Burioni, sono Francesco Barbero e Xiaowei Yan, infermiere e medico di emergenza, che lavorano entrambi a Wuhan, la città cinese, focolaio dell’epidemia.
Da oggi, su Medical Facts, nella rubrica “Nell’occhio del ciclone: in diretta dal centro dell’epidemia”, accanto alla voce della scienza, vengono pubblicati i bollettini scritti da chi combatte quotidianamente contro il virus e contro la paura. Nella prima puntata, Francesco e Xiaowei ripercorrono la lenta presa di consapevolezza dell’emergenza.
«Era il pomeriggio del 27 dicembre, quando in uno dei gruppi wechat popolato da addetti ai lavori, iniziava a circolare la notizia di diversi casi di polmonite d’origine sconosciuta, ricoverati nella succursale del Central Hospital of Wuhan. Poi nessuna notizia, fino al comunicato ufficiale dell’autorità sanitaria municipale il 31 dicembre: 27 casi, di cui 7 critici».
La settimana dopo la città era “business as usual“: «La solita metro affollata, pochissime mascherine in giro, e ristoranti pieni. In fondo, autorità ed esperti ripetevano che non vi era trasmissione interumana. A rovinare il clima di serenità, ci ha pensato il modello epidemiologico dell’Imperial College di Londra: secondo i loro calcoli, i casi d’infezione erano stimati tra 1.000 e 2.300. Quindi, dallo scorso 17 gennaio, l’autorità municipale ha ricominciato ad aggiornare i numeri: 17, 59, 77. In appena 4 giorni, 213 nuovi contagiati e un numero crescente di casi sospetti».
Di qui la rabbia della popolazione. «Solo il governo centrale – spiegano – poteva autorizzare la pubblicazione degli aggiornamenti, e l’improvviso aumento dei numeri è visto come una contromisura per adattarsi ai modelli pubblicati all’estero». «La mancanza di democrazia – commenta Burioni – certamente aiuta la diffusione del virus e rende una comunità più debole contro le malattie infettive».
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