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Coronavirus: il mistero degli 8 arresti in Cina per diffusione di “notizie false” a Wuhan

24 Gennaio 2020 - 19:26 David Puente
Arrestati per aver detto che il virus si trasmetteva da uomo a uomo, la loro identità e situazione rimane un mistero

Il 3 gennaio 2020 un articolo della BBC riporta l’arresto a Wuhan, in Cina, di 8 persone accusate di aver diffuso online notizie false e senza verifica su un virus in circolazione. Nello stesso periodo, secondo quanto ricostruito da Poynter, le autorità avevano diffuso una nota sui social media per mettere in guardia la popolazione sull’eventuale diffusione di bufale e disinformazione su quanto si stava cercando di scoprire su quello che oggi conosciamo con il nome di Coronavirus.

Ad oggi, venerdì 24 gennaio 2020, non sappiamo con certezza che fine abbiano fatto queste persone, se sono state liberate o meno. Quel che sappiamo è l’accusa contro di loro è di aver diffuso sul social Weibo che sarebbe tornata la SARS.

La domanda che si pongono Cristina Tardáguila, fondatrice di Agência Lupa, e Summer Chen, caporedattore del FactCheck Center di Taiwan, è se gli otto persone arrestate erano veri e propri produttori di notizie false o se stavano soltanto cercando di avvisare la popolazione di quanto stava accadendo. La difficoltà maggiore ai fini della verifica risulta essere, purtroppo, di tipo «burocratico» dove è difficile ottenere informazioni da parte delle autorità cinesi.

Cristina e Summer Chen si sono affidati a Hu Xijin, caporedattore del cinese Global Times che negli ultimi giorni aveva pubblicato tre post su Weibo riguardo questi 8 arresti. Ciò che ha incuriosito gli autori dell’articolo di Poynter è come l’uomo inizialmente si era mostrato molto critico per poi ammorbidirsi di fronte alle autorità cinesi.

Nel primo post del 21 gennaio 2020 cita l’arresto delle otto persone a Wuhan e domanda alle autorità se non era il caso di rivedere la loro posizione visto quanto è accaduto, confermando in parte la diffusione di un virus trasmissibile da uomo a uomo.

Il secondo post su Weibo.

In un post successivo, sempre del 21 gennaio 2020, smorza i toni e sostiene che le otto persone potrebbero aver subito l’arresto siccome le forze dell’ordine all’epoca non potevano essere a conoscenza delle informazioni necessarie sul virus, come ad esempio la trasmissione da uomo a uomo.

Nel terzo post, sempre del 21 gennaio 2020, il giornalista cinese parla di una fonte anonima dentro le forze dell’ordine che gli avrebbe riferito che gli otto arrestati di Wuhan sarebbero stati invitati a partecipare alle indagini rispondendo a qualche domanda e che il tutto, registrato con le telecamere, si era svolto in maniera amichevole. Insomma, nessun arresto secondo l’ultimo post Weibo del giornalista del Global Times.

Ciò di cui si lamentano gli autori di Poynter è che ad oggi non è possibile conoscere il nome delle otto persone coinvolte nella vicenda e verificare con certezza quanto affermato da Hu Xijin, come ad esempio i presunti video dell’interrogatorio definito «amichevole» dalle autorità cinesi. Tralasciando per un attimo il muro linguistico, in parte superato con l’aiuto del fact-checker di Taiwan, rimangono la mancanza di dati ufficiali e il rischio legato a un’autorità pubblica che potrebbe decidere, in maniera discrezionale, cosa sia vero e cosa sia falso.

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