Ponte Galeria, il centro alle porte di Roma dove le donne vittime di tratta e violenza sono a rischio rimpatrio collettivo
Viene chiamato «occultamento della continuità»: attivisti e attiviste che si occupano di immigrazione – ma anche di violenza di genere – definiscono così il passaggio tra un governo Conte e l’altro, tra il Conte I, quello gialloverde a trazione salviniana, e il Conte II. La «continuità» dell’aver lasciato – a quattro mesi dalla nascita dell’esecutivo giallorosso – immutati i due decreti sicurezza tanto voluti dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Certo, la maggioranza ha altre priorità all’ordine del giorno – si dirà. Ma il fatto è che le multe alle ong che fanno salvataggi in mare, gli operai multati per blocco stradale, l’abolizione della protezione umanitaria per i migranti sono ancora lì. Immutati.
Il Cpr di Ponte Galeria
I decreti sicurezza, a cominciare dal primo, hanno profondamente mutato il sistema dell’accoglienza. Secondo il rapporto pubblicato da ActionAid e Openpolis dal titolo La sicurezza dell’esclusione, l’avrebbe mandato in tilt, tra confusione, rinvii, circolari, burocrazia, aumento degli irregolari e i 5mila posti di lavoro andati in fumo in Italia.
«I decreti sicurezza hanno peggiorato il sistema di accoglienza in Italia e generato ghettizzazione e povertà», dice il sociologo e ricercatore pontino Marco Omizzolo durante la presentazione del briefing I sommersi dell’accoglienza, da lui curato per Amnesty International. «Oggi chi chiede asilo è esposto a emarginazione sociale con il rischio di finire nelle maglie della criminalità».
E’ cambiata la vita anche nei Centri per il rimpatrio, quelle strutture detentive e di trattenimento per stranieri irregolari create nel 1998: allora si chiamavano Centri permanenza temporanea (CPT), mentre tra il 2008 e 2017 hanno assunto la denominazione di Centri di identificazione ed espulsione (CIE)
Nel Cpr di Ponte Galeria, alle porte di Roma, in questo momento ci sono 43 donne e 97 uomini. Detenuti. A chi si trova qui, il decreto Salvini «porta serie problematiche in caso di richiesta di asilo reiterata». A raccontarlo è Francesca De Masi, sociologa di formazione: da vent’anni lavora con donne sopravvissute: alla violenza domestica e alla tratta per sfruttamento sessuale e lavorativo.
Dal 2007 è socia della cooperativa romana Be Free, e ha lavorato in vari sportelli antiviolenza della Capitale. Dal 2010 è coordinatrice dello sportello per donne sopravvissute a tratta a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo che la cooperativa gestisce all’interno del centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria. E si parla soprattutto di donne nigeriane.
Le persone che si trovano in questo momento nel Cpr sono tutte in fase di esecuzione di un provvedimento di espulsione, spiega De Masi. «E con il primo decreto sicurezza la richiesta di asilo reiterata fatta in esecuzione di un provvedimento di espulsione è ritenuta inammissibile e quindi irricevibile dalla stessa Questura».
Così si salta, di fatto, un passaggio, che spesso voleva dire tutela per le donne nigeriane vittime di tratta – e non solo per loro. «La documentazione ora non va più anche alla commissione: è la questura di Roma, l’ufficio immigrazione dentro ponte Galeria, a dare direttamente un giudizio di irricevibilità e inammissibilità», dice De Masi. Non c’è possibilità di appello, insomma, sebbene sulla carta sia previsto. È l’esito della prima domanda a decidere il tuo destino.
Rischio di rimpatri collettivi
Il risultato è fatto di rimpatri immediati, con partenze per il paese di origine a poche ore dal pronunciamento della questura. E poi c’è il rischio di rimpatri collettivi: come quello lanciato a dicembre dalle associazioni che lavorano nel Cpr di Ponte Galeria.
«Nove donne hanno rischiato un rimpatrio collettivo verso la Nigeria», dice Enrica Rigo, professoressa di filosofia del diritto e fondatrice della clinica legale sull’immigrazione e la cittadinanza all’università Roma Tre. «La Nigeria è un paese fortemente a rischio. Le donne possono essere vittime di violenza e sfruttamento sessuale, soprattutto se rimpatriate: perdono il legame famigliare, c’è lo stigma di essere state rimpatriate dopo essere andate a fare le prostitute in Europa. L’unica via è, di nuovo, la Libia».
Il rischio non si è realizzato per il reparto donne, ma sembra essersi concretizzato – dalle poche notizie che riescono invece a trapelare – nel reparto maschile del centro alle porte di Roma. «Nel maschile sequestrano i telefoni, quindi è difficile avere notizie», prosegue Rigo. «È una prassi illegittima, e questo è l’unico Cpr in Italia ad attuarla».
A settembre, proprio nel centro di Ponte Galeria alcuni migranti avrebbero incendiato materassi e altri oggetti, proprio in rivolta contro i rimpatri. «Non era la prima rivolta. E le informazioni sono uscite solo a un ragazzo coraggioso che, in perfetto stile Orange is The New Black, ha nascosto il cellulare ed è riuscito a comunicare con l’esterno», dice la docente. Le associazioni come Sant’Egidio, che portano avanti progetti educativi e corsi di lingua, erano state allontanate a causa del rinnovo della convenzione con il centro.
Le donne nigeriane
Il trattenimento dei migranti nel Cpr è una «restrizione della libertà personale ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione», spiega a Open Enrica Rigo «Va convalidata da un giudice, quindi: non lo dico io ma lo dice la Corte Costituzionale. Quello che si è venuto a creare a Roma è un braccio di ferro istituzionale: la Questura sa che il tribunale non convalida le espulsioni delle nigeriane, quindi fa in modo di non mandare alla commissione le domande reiterate. Le donne sono ritenute migranti irregolari e per loro decide il giudice di pace. Che non ha gli strumenti per affrontare questi casi e decide per il rimpatrio, facendo di fatto quello che chiede la Questura».
Emerge così «una situazione fuori controllo rispetto alla tutela dei diritti», dice Rigo, «altamente lesiva del diritto d’asilo». «Queste donne non dovrebbero stare lì dentro, il tribunale di Roma non avrebbe detto l’ok al loro trattenimento. Ma le loro domande vengono dichiarate inammissibili ai sensi del decreto Salvini e loro, spesso vittime di tratta, vengono rimpatriate lì dove il loro sfruttamento comincia».
Che questa prassi sia illegittima è già stato detto: il tribunale di Roma, ad aprile, ha ricordato che la questura deve comunque ricevere le domande d’asilo e poi passare alla commissione territoriale, cui spetta il compito di dichiarare eventualmente inammissibile una domanda. «Il controllo giurisdizionale spetta al tribunale, mentre questa prassi mira a fare senza».
«Le donne vittima di tratta, dentro a Ponte Galeria, vivono una difficoltà tutta specifica rispetto alla loro situazione: essere state diniegate in un primo momento, quando magari erano ancora dentro al circuito dello sfruttamento e costrette quindi a raccontare davanti alla commissione una storia differente rispetto a quella reale», spiega Francesca De Masi. «Questa situazione è sempre più difficile da riprendere in mano. Ma una storia non credibile è un indicatore di tratta».
Che si fa allora? «Non è semplice, perché quelle donne, la cui richiesta di protezione internazionale è magari stata diniegata, potrebbero essere potenziali vittime di tratta che non hanno avuto modo di raccontare la loro storia per paura di ritorsioni», dice la sociologa. «Se presenti domanda e sei alle dipendenze dei ‘papponi’ è ovvio che non dici tutto», aggiunge Enrica Rigo. «Dici quello che loro ti dicono di dire. Stiamo portando avanti una grande battaglia per far emergere queste questioni».
La ratio, per Enrica Rigo, è politica: «C’è la necessità di riempire le statistiche dei rimpatri», chiosa la docente. Anche con l’attuale inquilina del Viminale, Luciana Lamorgese. Rimpatri figli (anche) della nuova linea che porta la firma di Luigi Di Maio e di problemi logistici come i costi delle operazioni e l’assenza dei necessari accordi bilaterali di riammissione con i Paesi di origine – fatta eccezione, per esempio, per Marocco, Tunisia o – appunto – Nigeria.
La morte di Vekhtang Enukidze, sulla quale indaga la procura di Gorizia, ha riacceso i riflettori sullo stato del sistema di accoglienza e detenzione dei migranti e richiedenti asilo in Italia. Sul decesso del 38enne georgiano, la procura ha aperto un fascicolo per omicidio volontario a carico di ignoti.
Enukidze ha avuto un malore ed è morto dopo che gli agenti di polizia sono intervenuti per sedare una rissa scoppiata nel Cpr di Gradisca. Alcuni presunti testimoni delle aggressioni, uomini detenuti come lui, sono già stati rimpatriati in Egitto prima che le loro testimonianze potessero entrare nel fascicolo di indagine.
Nei Cpr, intanto, proseguono le rivolte: a Potenza, a Palazzo San Gervasio. A Torino i centri hanno dovuto chiudere, dice Enrica Rigo. «Sono storie che raccontano il senso di paradosso di questi luoghi in cui le persone vengono rinchiuse senza poi essere rimpatriate, visto che i rimpatri restano pochi».
Cambio di prassi?
È di questi giorni la notizia che il Tribunale di Roma ha ordinato la liberazione di una cittadina nigeriana trattenuta nel Cpr di Ponte Galeria. Qui la donna aveva presentato una nuova domanda di protezione internazionale: nel paese di origine sarebbe stata vittima di mutilazioni genitali. Il caso, analogo a un altro dei mesi scorsi, è stato sollevato dalla clinica legale sull’immigrazione e la cittadinanza all’università Roma Tre.
«La decisione è importante perché chiarisce che solo la Commissione territoriale ha gli strumenti e la competenza a decidere sull’ammissibilità delle domande reiterate di protezione internazionale», spiega in una nota il garante regionale delle persone private della libertà, Stefano Anastasia.
«Spesso le vittime di tratta hanno il timore di denunciare i propri aguzzini e presentano domande di protezione internazionale senza raccontare il loro reale vissuto. Per questa ragione la normativa internazionale e nazionale consente di presentare una nuova domanda basata su elementi nuovi che deve essere valutata dalla Commissione», dice Anastasia.
«Sono convinto che la Questura di Roma modificherà la propria prassi conformandosi a quanto disposto dal Tribunale di Roma. Abbiamo chiesto alla Prefettura di Roma di autorizzare un nostro sportello di informazione legale all’interno del Cpr, come già facciamo nelle carceri di tutto il Lazio. Speriamo che il Prefetto risponda positivamente e in tempi brevi».
In copertina ANSA/Fabrizio Frustaci |Forze dell’ordine davanti alla sede del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Ponte Galeria, in occasione del presidio organizzato dai Movimenti Antagonisti, Roma, 24 febbraio 2018
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