Gorizia, Magi sul migrante morto nel Cpr: «Pestato tre volte dagli agenti»
Il deputato Riccardo Magi torna a parlare del caso del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca dove il 19 gennaio è morto un georgiano di 38 anni, Vekhtang Enukidze. In un’intervista a Repubblica Magi ribadisce che a portare alla morte dell’uomo non sarebbe stata una rissa tra detenuti ma un presunto pestaggio da parte delle forze dell’ordine, «ancora da verificare», dichiara Magi.
Magi ha raccolto 8 testimonianze diverse secondo cui il georgiano sarebbe stato picchiato da otto-dieci agenti il 14 gennaio. Non solo questo: secondo altri detenuti il migrante sarebbe stato pestato per ben tre volte dalle forze di polizia
La dinamica del pestaggio del 14 gennaio
Uno dei detenuti più anziani intervistati da Magi ha raccontato che quattro giorni prima della morte di Enukidze, avvenuta il 18 gennaio, gli agenti lo avrebbero colpito alla nuca e alla schiena, trascinandolo via per i piedi.
La rissa è nata, secondo uno dei gestori del Cpr, perché un egiziano di 27 anni, compagno di cella di Enukidze, sugli ordini degli agenti aveva buttato via delle schegge di plexiglas che il migrante georgiano aveva ricavato spaccando un pannello.
Le condizioni nel Cpr «fuori controllo»
Per Magi la struttura è semplicemente «fuori controllo». Il deputato ha raccontato di essere stato accolto da un agente in tenuta antisommossa durante la sua visita a causa delle tensioni nel Cpr, dove sono comuni e diffusi i casi di autolesionismo.
«Durante la visita trovo migranti con profondi tagli auto-inflitti sulle braccia e sull’addome. Alcuni sembrano in stato semi-confusionale, indice di un uso massiccio di calmanti e psicofarmaci», ha spiegato il deputato a Repubblica.
Mancano spazi di socialità, non c’è la mensa, i detenuti non hanno accesso a informazioni di tipo legale e anche i loro uso di cellulari è limitato, per evitare che i detenuti filmino ciò che accade nel centro. Se vogliono rimanere in possesso del proprio cellulare, spiega Magi, i detenuti sono obbligati a rompere la telecamera con un cacciavite.
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