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Oleg Mandić, l’ultimo bimbo a uscire da Auschwitz-Birkenau: «L’antisemitismo è già tornato, il mio compito è farlo capire ai ragazzi: loro dovranno fermarlo»

27 Gennaio 2020 - 18:57 Olga Bibus
«La mia vita è stata bellissima proprio perché all’inizio della mia vita c’è stato Auschwitz», ha detto Oleg da Torino, dove oggi ha incontrato circa 5mila ragazzi per il giorno della Memoria

Oleg Mandić aveva undici anni quando ha visto per la prima volta l’ingresso di Auschwitz-Birkenau. Non aveva paura: la sua piccola mano stringeva forte quella della mamma, è stata lei a dargli il coraggio negli otto mesi in cui hanno vissuto nel campo di concentramento.

Quella mano che non lo ha lasciato nemmeno quando, per ultimo, è uscito dalla prigionia, chiudendo la porta di un campo in cui ancora oggi, a 87 anni, continua a tornare per trasmettere ai ragazzi la sua memoria. «Per fare capire cos’è il male e che bisogna lottare perché non torni», racconta a Open.

Oleg è nato in Croazia, a Susak, ed è stato imprigionato perché suo papà e suo nonno erano tra i leader della lotta partigiana di Tito. È sopravvissuto, dice lui, «un po’ per caso e per fortuna, così si sopravviveva ad Auschwitz». Quando è arrivato, per un colpo di fortuna, gli è stato concesso di sistemarsi con sua mamma. Di lì a poco avrebbero dovuto trasferirlo in un campo maschile, ma al momento della visita gli è venuta la febbre e questo gli ha salvato la vita.

Oleg Mandić | fonte immagine: Rai Cultura

Oggi, nel giorno della Memoria, Oleg era al Palazzetto dello Sport di Torino per un incontro con circa 5mila studenti, un’iniziativa organizzata anche dal Treno della Memoria, l’associazione che porta ogni anno migliaia di ragazzi in visita ai campi.

Qual è il ricordo che porta con sé quando chiude gli occhi?

«L’arrivo, le rotaie, l’ingresso. Mi ricordo quel momento e mi ricordo che non avevo paura perché accanto a me c’era mia mamma a darmi coraggio e perché non sapevamo ancora davvero quello che ci aspettava».

Com’è stato vedere Auschwitz con gli occhi di un bambino?

«Lo dovreste chiedere a mia nipote forse. Quando era piccola suo padre, cioè mio figlio, non voleva che si parlasse di queste cose in casa. Allora all’età di 12 anni lei ha fatto un discorso ai genitori: “Mamma e papà, so che non volete che se ne parli, ma io so benissimo cosa è successo a mio nonno. Vi prego di lasciarmi andare ad Auschwitz perché voglio vedere con gli occhi di mio nonno quello che ha vissuto”. E una settimana dopo l’ho portata: per me è stata un’emozione fortissima».

Com’è stato ritornare ad Auschwitz?

«So che sembra strano, ma quando vado ad Auschwitz per me è sempre una festa. È la mia “visita terapeutica” perché anche se avessi un male, una volta lì per me perderebbe di significato: davanti ai miei occhi c’è sempre quello che c’era 75 anni fa»

Secondo lei alla luce degli ultimi episodi, dagli insulti a Liliana Segre alla scritta «Qui ebrei» sulla porta di casa del figlio di una staffetta partigiana, stiamo assistendo a un risveglio dell’antisemitismo?

«Basta leggere i giornali: non stiamo assistendo, l’antisemitismo è già tornato, l’odio è presente e continuerà ad aumentare se stiamo zitti».

Oggi secondo lei, ha ancora senso il giorno della Memoria?

«Secondo me ha senso, ma avrebbe ancora più senso se fosse celebrato ogni mese. Il giorno della Memoria serve proprio come antidoto al risveglio dell’odio, dell’antisemitismo, delle persecuzioni. Se vogliamo fermare il male dobbiamo darci da fare».

Man mano che passano gli anni, i testimoni diventano sempre meno. Tra qualche anno come potranno i giovani conservare la memoria?

«È un punto questo che ho toccato proprio oggi con i ragazzi di Torino. Erano circa 5mila, allora ho detto a loro: molti di voi forse non mi hanno ascoltato, ma chi mi ha ascoltato deve portare avanti la memoria di noi testimoni perché presto la memoria si troverà solo nei libri, allora voi che l’avete ascoltata con le vostre orecchie dovrete poi raccontarla a vostra volta. Se lo farete, sarà un lavoro molto importante».

Domani invece sarà con i bambini nella periferia di Torino per un’iniziativa promossa dall’associazione Città incantata, in cui verranno letti dei passi metaforicamente all’Oleg che aveva 11 anni. Lei se tornasse indietro cosa direbbe a quell’Oleg?

«Nulla, perché io non cambierei una virgola della mia vita a condizione di trovare Auschwitz esattamente com’è stato. A 14 anni, due anni dopo che sono uscito, ho capito che la mia vita sarebbe stata una passeggiata perché non mi sarebbe mai successo nulla di così brutto come quello che ho passato. Ho avuto una vita bellissima proprio perché all’inizio c’è stato Auschwitz».

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